OPINIONI

Le guerre commerciali lambiscono già i progetti auto globali?

Tesla ed Honda: ora anche case e progetti sull’auto a zero emissioni devono fare i conti coi venti di protezionismo

La luna di miele tra il nuovo presidente degli Stati Uniti e le grandi corporation negli ultimi giorni non è più la stessa. Amministratori delegati delle più importanti società, inizialmente convinte di poter trarre il massimo dal nuovo approccio pro-business della Casa Bianca, ora cercano di fare il possibile per limitare i danni collaterali di guerre commerciali che potrebbero scaturire dalle tensioni bilaterali tra Stati Uniti e un crescente numero di nazioni.

Jeffrey Immelt, numero uno di General Electric ha detto all’agenzia Bloomberg: “ciò che tocca a noi è navigare il sistema quale oggi è, ma allo stesso tempo comunicare con la gente che ha votato la Brexit o eletto Trump presidente per dir loro ‘Guardate, alla fine della fiera se vogliamo creare più posti di lavoro, non dovremmo alienarci tutti in giro per il mondo’.”

L’eventualità avanzata da Immelt non è ipotetica: si vedono già alcuni esempi delle reazioni. Un buon motivo per riportarli in questo post è che il progresso dell’automobile del futuro elettrica ed autonoma non è immune dagli effetti di eventuali guerre commerciali. Queste non cambierebbero l’affermazione finale delle tecnologie attualmente sviluppate. Ma possono cambiare, e anche in modo significativo, i tempi con cui si imporranno.

Il primo caso riguarda Tesla: uno dei clienti che hanno cancellato la prenotazione di due Model 3 ritirando le cauzioni è tedesco. Imputa alla casa di Palo Alto di aver cancellato un ordine da $100 milioni col fornitore tedesco SHW, sacrificandolo per mettersi in buona luce con la Casa Bianca. Che proprio questa sia stata la motivazione della società californiana non lo ha scritto solo il cliente, ma il settimanale finanziario WirtschaftsWoche.

SHW Group, che produce dischi freni e pompe dell’olio, non ha citato direttamente Tesla come cliente coinvolto nella disputa. Intanto però sta passando alle vie legali perché, come ha scritto la rivista, l’ordine è stato cancellato per motivi puramente politici. Fino a poco tempo fa l’azienda di Elon Musk coi fornitori tedeschi andava d’amore e d’accordo: oltre ad SHW annovera tra i partner Eisenmann (verniciatura) e Kuka (robot).

A novembre 2016 aveva anche annunciato una insolita acquisizione proprio in Germania, prendendo il controllo della Grohmann Engineering, una società di progettazione e di engineering tedesca dotata di competenze tanto vaste da spaziare dall’automotive al biomedicale. L’azienda con sede a Prüm, nei monti dell’Eifel, non lontano dal circuito del Nürburgring è diventata il pilastro di una nuova società: Tesla Grohmann Automation, incentrata sui processi di automazione e produzione.

Non sono solo i tedeschi a guardare ora con sospetto le aziende americane e le loro mosse. Pochi giorni fa General Motors ed Honda hanno svelato una nuova società chiamata Fuel Cell Manufacturing System LLC. Si tratta di una joint venture in cui entrambi i partner hanno investito $85 milioni per sviluppare un impianto di assemblaggio già esistente a Brownstown Township, in Michigan, che produrrà pile a combustibile alimentate ad idrogeno.

La rivista Nikkei Asia Review ha dato voce a critiche giapponesi mettendo in chiaro che considera la decisione Honda come una mossa per prevenire attacchi via tweet da parte dell’inquilino della Casa Bianca, più che il risultato di scelte puramente industriali. Se queste avessero avuto il sopravvento, avrebbe avuto molto più senso per Honda concentrare progetti di ricerca e produzione in casa.

Il governo giapponese da tempo supporta con grande enfasi il settore dell’idrogeno. Che uno dei due leader del settore, l’altro è Toyota Motor, non metta tutte le sue energie per fare del Giappone il numero uno in una tecnologia con grande potenziale di crescita è stato visto come un caso di scarsa riconoscenza.

I nuovi posti di lavoro Honda che finiranno nel Michigan non sono esattamente un grazie per le politiche di sovvenzioni alla ricerca ed all’infrastruttura basata sull’idrogeno nelle quali le autorità statali e locali giapponesi erano state generose. Nel settore delle fuel cell Toyota finora ha adottato una politica molto più incentrata sul Giappone. Con l’aria che tira, questo potrebbe forse meritarle un tweet di scomunica da Washington. Invece proprio questo adesso diventa molto più apprezzato in patria di quanto lo fosse poche settimane fa.

Ha scritto la Nikkei Asia Review, criticando (molto aspramente per le convenzioni nipponiche) la mossa Honda: “concentrare oltremare la produzione di componenti fondamentali, come le fuel cell, potrebbe danneggiare lo sviluppo dell’industria giapponese. In tal senso, frizioni commerciali con Trump costituiscono un rischio per l’industria giapponese e l’impiego, se questo significa spostare attività chiave in America. Passi falsi potrebbero erodere la competitività a lungo termine del settore auto giapponese”.

Questi due casi sono, è chiaro, solo evidenze anedottiche, piuttosto che accurati studi preparati da prestigiose facoltà di economia. Intanto però va preso atto che in Germania ed in Giappone c’è già chi a ragione o a torto sta giungendo alla conclusione che è il caso di rispondere alle schermaglie di imminente protezionismo create dalla Casa Bianca con lo stesso vocabolario.


Credito foto di apertura: GM global media website