…e Maranello mise un ‘buy’ alla tecnologia ibrida
La supercar LaFerrari è destinata ad avere compagnia: l’ibrido sarà comune nella gamma del Cavallino dal 2019
I risultati del terzo trimestre di quest’anno (più rosei delle previsioni a €783 milioni di ricavi, un +8% anno su anno e €113 milioni di utili) stanno scatenando gli analisti delle banche e delle società finanziarie sulla Ferrari, bersagliata di buy, inviti all’acquisto. Come riportava stamani il quotidiano economico Milano Finanza, sono dello stesso avviso Banca Akros, Banca Imi, Mediobanca Securities ed Equita. Tutte hanno alzato l’obiettivo per le azioni Ferrari: tra i €57 ed i €60, a fronte di consegne annuali attese a 8.000 vetture e ricavi oltre i €3 miliardi. Non manca qualcuno che prevede un EBITDA a €1 miliardo già tra l’anno prossimo ed il 2018.
Tutto bene, fin qui. Ma analisti ed addetti ai lavori hanno anche dubbi. Perché, come faceva notare Chris Bryant in questo post di Gadfly, non solo le auto Ferrari, anche le azioni non sono affatto economiche. Nel senso che sono scambiate fino a venticinque volte gli utili previsti per il 2016. Circa tre volte quello che scambia l’azione di una marca premium come BMW. Ferrari è su multipli da società del segmento dei beni di lusso: assomiglia più a Prada che ad altre case.
Pur prendendo nota dei successi, ci sono analisti che hanno iniziato a chiedersi se analogamente a quanto avviene nel settore del lusso e della tecnologia, il retaggio del Cavallino Rampante, molto legato alla tradizione dei motori convenzionali, dal dodici cilindri in giù, non sia a rischio di uscire dai favori di una clientela piccola e ricca ma volubile. Per la quale il Blackberry ieri, magari l’iPhone domani, è stato indispensabile, fino a quando non lo è stato più.
Non c’è effettivamente momento più giusto per porsi questo genere di domande. Perché proprio ieri l’amministratore delegato Sergio Marchionne ha confermato che presto la tecnologia ibrida non sarà più un tratto peculiare di una supercar come LaFerrari o la più recente LaFerrari Aperta, ma una componente standard delle auto di Maranello del futuro.
Con LaFerrari, che combina un motore elettrico da 120 kW con un dodici cilindri per un risultato di 949 cavalli complessivi, abbiamo preso nota che ibrido e Cavallino Rampante possono stare insieme per produrre qualcosa in grado di attrarre anche i più affezionati e munifici clienti di Maranello. Ma a lungo andare la nicchia delle supercar, un discreto numero delle quali sono prodotte proprio in Italia, saprà resistere alla minaccia che sembrano rappresentare per la sua stessa esistenza guida autonoma ed elettrificazione?
Ferrari e gli altri produttori di supercar devono misurarsi con le sfide poste dalle auto a guida autonoma e dalla tecnologia elettrica
Al gran sacerdote dell’auto da sogno tradizionale, quel Lord March che ne celebra i riti annuali sulla sua pista di Goodwood, Bloomberg aveva chiesto un’opinione sulle prospettive dell’auto alle prese con la corsa alla tecnologia autonoma. Lord March ritiene destinate all’irrilevanza le case auto, non così le auto da sogno:”gli uomini che spendono molti soldi con gli orologi spendono molti soldi con le auto. È la stessa cosa. Meccanica. Bellezza. Un’auto è un grande orologio. Nel futuro la gente vorrà comprare vere auto come vuole comprare veri orologi. L’uomo della strada che vuole un’auto da $5.000 andrà a comprarsi una roba a guida autonoma“.
L’intelligenza artificiale applicata alla guida autonoma fa parte di un più generale e costante progresso tecnologico. Anche quando si tratta di prodotti di lusso. In aviazione come nell’auto, da decenni la tecnologia sottrae a piloti e guidatori compiti e ruoli un tempo rigorosamente manuali. La relativa facilità di guida di una odierna supercar rispetto a quelle degli anni ’50 o ’60 non ha creato problemi alla desiderabilità di un’auto da sceicchi più di quanto i progressi in aeronautica oggi abbiano reso un Falcon meno ambito di un vecchio Lockheed Jetstar.
Lord March però, con la sua analogia tra auto di lusso ed orologi da amatore, induce anche a guardare meglio anche altri aspetti dei cambiamenti tecnologici. Perché l’impatto di alcune tecnologie è peculiare. Il matrimonio dell’auto tradizionale con la tecnologia ibrida non ha stravolto il panorama quanto succederebbe con una totale elettrificazione. Una soluzione che, in effetti, Marchionne ha detto di volere tenere a distanza come una strega farebbe con l’aglio.
Se torniamo al paragone con gli orologi, il cuore di un Patek Philippe o di un Blancpain può essere identico a quello del modello prodotto cinquanta anni fa. Ma i modelli da collezione della grande orologeria non hanno mai dovuto affrontare un rischio che invece si affaccia con le nuove supercar. Le batterie, non i dodici cilindri, saranno il nuovo cuore della tecnologia elettrificata. Ma dalle auto da sogno elettriche spariranno caratteristiche come il rumore che fanno parte integrante dell’iconografia dei marchi più prestigiosi.
In questo caso, però, gli analisti finanziari sbaglierebbero a preoccuparsi troppo e ad ipotizzare di cancellare immediatamente i consigli di buy per le società come Ferrari, oppure McLaren o Lamborghini. Perché sarebbe un ragionamento rigidamente logico e ristretto alla tecnologia che si accompagna a quello che, sia nel caso di supercar o di orologeria di fascia alta alla fine è soprattutto conspicous consumption. Ovvero, espressione di ricchezza e potere mediante cose.
I grandi gruppi dell’auto da Toyota a Volkswagen senza eccezioni, sono ossessionati dal timore di essere tagliati fuori da un futuro in cui l’auto sarà parte di un processo noto come mobility as a service. L’auto diventa un anello sempre meno importante di una interminabile catena di servizi di trasporto: il business sarà offrire un’alternativa competitiva ad altre soluzioni.
Per il pendolare o per il rappresentante di commercio in effetti la mobilità è il punto. Spostarsi nel più breve tempo possibile dalla via A alla via B. Pendolari e rappresentanti hanno acquistato ed acquistano auto in quell’ottica. Se esistono alternative di trasporto efficienti possono fare a meno di acquistare l’auto: salendo oggi sulla metro, un giorno su un robo-taxi.
Ma nel caso di chi acquista e (sporadicamente) usa una LaFerrari o una Aventador, la mobilità non è il punto. Non lo è mai stato. L’esperienza connessa al possesso lo è. Infatti le case che producono supercar si ingegnano per organizzare eventi, track days in cui rinforzare la trama del tessuto esperienziale del cliente.
Quello da un lato, e dall’altro il sapere che uno dei pochi selezionati artigiani di quella azienda, sia l’esperto di movimenti della Patek Philippe o il pellettiere della Schedoni sui cui sedili i clienti di Maranello appoggiano il fondo schiena, sono il punto.