BUSINESSOPINIONI

La Cina sgonfia una bolla e ne prepara un’altra

Il boom cinese delle vendite di veicoli verdi è andato di pari passo con la corsa all’oro degli incentivi

$4,5 miliardi di sussidi per i veicoli verdi possono fare miracoli. E anche finti miracoli. È quello che ha scoperto la Cina: lo scorso anno ha sborsato quella colossale cifra puntando a ridurre i gravissimi problemi di inquinamento ed allo stesso tempo dando un impulso alla qualità della propria manifattura. Adesso viaggia verso stime di vendite annuali di circa 600.000 NEV (veicoli elettrici o ibride plug-in) il triplo del livello americano. Ma si tratta ancora di una quota solo dell’1,4% del mercato totale e, soprattutto, ha generato una inflazione di costruttori o aspiranti tali.

Molti infatti, sono parsi più interessati a mettere le mani sui sussidi che a creare una “Tesla cinese”. Il governo, che punta a tre milioni di vetture verdi vendute nel 2025, ha offerto sussidi che arrivano al 60% del prezzo di alcune auto elettriche. Per poi scoprire, come riferiva Michael J. Dunne su Forbes, che lo scorso anno sono state vendute circa 30.000 vetture più di quelle effettivamente immatricolate. Inoltre, con quasi 200 aziende che hanno iniziato progetti di vetture a zero emissioni, ben difficilmente è possibile raggiungere quelle economie di scala che portano efficienza.

Il programma, che riguardava quasi esclusivamente costruttori nazionali, ha comunque messo le basi del boom di vendite di alcune società come la leader BYD (62.ooo vendute lo scorso anno), SAIC e Geely. Ma negli altri casi ha messo in moto investimenti azzardati verso progetti a volte più ambiziosi che solidi. L’ultima in ordine di tempo è stata la WM Motor guidata da Freeman Shen. Proveniente dal costruttore Geely, il creatore della startup non ha voluto rivelare a Fortune da dove provengano i fondi.

Fondi che a altre nuove arrivate non sembra manchino: LeEco il 10 agosto scorso ha annunciato $1,8 miliardi di investimenti per costruire una fabbrica di auto elettriche nella Cina orientale. L’agenzia Reuters ha riferito che la prima fabbrica di LeEco dovrebbe essere costruita in due fasi, nella contea di Deqing ed una volta completata (l’azienda non ha indicato una data prevista) l’obiettivo produttivo iniziale per lo stabilimento posto vicino alla città della Cina orientale di Hangzhou sarebbe stato di 200.000 vetture. Dietro alla società c’è un magnate di internet: Jia Yueting. Come se Netflix dicesse che domani sfiderà Tesla e/o Mercedes-Benz. Salvo scoprire che ancora non ha ottenuto una licenza di costruttore auto…

Il governo cinese ha iniziato una politica restrittiva destinata a fare una strage di startup dell’auto vere e virtuali

Si è trattato solo dell’ultimo episodio della corsa all’oro che ha luogo in Cina: ma forse anche dell’ultimo in assoluto. Il ministero dell’industria ha reagito decidendo di “disboscare” la giungla di startup inaffidabili e precarie, con una nuova politica più restrittiva che pone molti paletti ai programmi riguardanti auto a zero emissioni. Come racconta questo articolo dell’agenzia Bloomberg, entro un paio di anni si prevede che le circa 200 startup attive nell’auto verranno ridotte ad una decina che dispongono di concreti programmi, strutture e possibilità di sopravvivere.

Le case auto già da tempo attive non fanno parte di questo elenco, che riguarderà solo aziende di recente costituzione. Alcune saranno comunque presenti con quote societarie di nuovi protagonisti che hanno i requisiti per avere le necessaria approvazione: ad esempio la Beijing Electric Vehicle Co. partecipata dal gruppo BAIC che costruirà nella capitale 70.000 mezzi elettrici l’anno. O la Hangzhou Changjiang Passenger Vehicle Co. che ha come azionista una società di veicoli elettrici già quotata ad Hong Kong: la FDG Electric Vehicles Ltd.

La stretta del ministero dell’industria sulle startup sembra una soluzione ragionevole e necessaria ad un fenomeno di bolla speculativa. Ma in effetti è difficile che si riveli una soluzione permanente. La Cina infatti sembra avere continuamente bisogno di business su cui riversare fiumi di denaro. Le startup delle auto a nuova tecnologia sono solo l’ultimo episodio di una cronaca economica che ha avuto nell’immobiliare la bolla più eclatante, conclusasi con la costruzione non di palazzi vuoti, ma di intere città-fantasma.

Dalle riforme di Deng in poi infatti assistiamo al paradosso di una nazione comunista in cui cittadini e famiglie non possono aspettarsi dallo stato welfare. Né assistenza sanitaria degna di questo nome né previdenza. I cinesi da alcuni decenni sono ingabbiati da una repressione finanziaria accuratamente perseguita per far supportare alla formidabile capacità di risparmio nazionale il credito necessario ad aziende e settore pubblico. I ridicoli rendimenti reali dei conti correnti costringono da alcuni lustri i risparmiatori ad andare costantemente a caccia di profitti, con una tolleranza per il rischio ai limiti della temerarietà che sfida anche esperienze negative come quella immobiliare ed azionaria. Gli effetti della repressione finanziaria creata dalla stessa dirigenza cinese costringono continuamente il governo a tamponare gli effetti collaterali: la bolla delle 200 startup con progetti di auto NEV ne è solo un esempio.

Dove si sta spostando il fiume di soldi che arriva dalla Cina? Ora gli investimenti attraversano il Pacifico

Adesso probabilmente calerà drasticamente la quantità di yuan gettati nelle startup nazionali. Ma la colossale massa di risparmi cinese continuerà certamente a cercare rendimenti interessanti: e i fondi pensione, le banche e le gestioni patrimoniali non smetteranno di tirare per la giacca le società perché accettino soldi da investire ed i miliardari perché si lancino in nuove avventure. Fiumi di denaro per investimenti di cui, come ha scritto il New York Times in questa inchiesta, i titolari sanno sorprendentemente poco. Cosa avviene della montagna di denaro che in Cina sembra aver trovato una porta sbarrata con la fine della bolla delle startup dell’auto? Trova una porta aperta dall’altra parte del Pacifico, come vedete dal grafico.

cina silicon valley
Il capitale cinese sommerge le aziende tecnologiche americane. A sinistra: investimenti diretti complessivi nell’area di San Francisco (escluso immobiliare). A destra: Numero stimato di accordi commerciali nel settore tecnologia che hanno coinvolto investitori cinesi. (Credito immagine: The Washington Post)

Elizabeth Dwoskin, in questo articolo sul Washington Post da cui è stato tratto il grafico, spiegava che dopo essere stati iperattivi nel mercato immobiliare e quello delle obbligazioni, i miliardari cinesi a partire dal 2014 si sono gettati a testa bassa nelle opportunità offerte dalle startup della Silicon Valley. Trovando in America una quantità di società ambiziose ma che da alcuni anni si trovano a non poter avere più accesso agli stessi abbondanti capitali che venivano con molta facilità erogati prima della Grande Recessione ed ora con molta più circospezione.

I primi e più importanti investimenti sono andati nell’high-tech. Ma da tempo ha iniziato a svilupparsi un filone di startup che puntano al mercato dei veicoli di nuova generazione, elettrici e/o a guida autonoma, dove i capitali cinesi sono ora quasi immancabilmente presenti e una nuova bolla si sta formando. Mentre nell’high-tech ci sono già i primi casi di rigetto, l’auto di nuova generazione sembra ancora nella fase di luna di miele. Sembra così per Atieva, creata da dirigenti usciti da Tesla ed Oracle, a cominciare dal Chief Technology Officer Peter Rawlinson, che in Tesla era vice-presidente e capo progetto della Model S. È ancora ad un paio di anni dall’entrare sul mercato, ma di recente ha svelato l’intenzione di mettere in vendita una berlina premium tutta elettrica nel 2018 ed un paio di crossover di fascia alta a seguire tra 2020 e 2021, piani che sono stati riferiti  dalla Reuters.

Un’altra startup americana che poggia su capitali cinesi è Faraday Future: sta costruendo una fabbrica da $1 miliardo in Nevada tra perplessità e annunci di reclutamento di dirigenti dal curriculum roboante, il più noto dei quali da noi è quel Marco Mattiacci che a suo tempo si era ritrovato a guidare la Ferrari in Formula 1. Se le startup americane amano strapparsi dirigenti e progettisti non mancano situazioni di scarsa trasparenza: Jia Yueting, ancora lui, oltre ad aver annunciato con la sua LeEco di voler costruire la LeSee che vedete nella foto di apertura, è presente sia nel capitale di Atieva sia in quello di Faraday Future.

Forse, questo è un segnale che vedremo nel tempo un consolidamento tra le startup per creare qualcosa di più solido. O forse è un segnale meno rassicurante che al momento è urgente soprattutto investire il fiume di denaro che arriva dalla Cina, finché i rubinetti che portano all’estero per qualche ragione non si prosciugheranno. Con la stretta del ministero dell’industria cinese chi non ha davvero intenzione di passare dal progetto alla produzione finirà ai margini. Ma le opportunità di spendere i soldi degli investitori in vetrine più o meno brillanti non mancano, fuori dalla Cina, e non solo nella Silicon Valley.

Un’altra nuova società cinese, NextEV, è partita da $465 milioni di investimento per costruire una fabbrica insieme al governo municipale di Nanjing. Ma anche NextEV non ha saputo resistere all’attrazione di una ribalta occidentale. E mentre investe negli Stati Uniti si è comprata uno spazio a caro prezzo nel circus della Formula E, la categoria di monoposto elettriche da competizione in cui sono già presenti case tradizionali come Audi, Jaguar, PSA e Renault.


Credito foto di apertura: LeEco media website