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Ci sono troppe voci nel menu della nuova mappa di Tesla?

Con qualche ritardo (dovuto ad una attività multi-multi-tasking che includeva il lancio di un razzo Falcon 9 della sua SpaceX) nel corso della notta italiana Elon Musk ha reso pubblica la seconda parte del suo master plan, una parte del quale era però già da tempo palese per il tentativo di integrazione in corso tra automotive e generazione e stoccaggio di energia (attraverso l’acquisizione di Solar City da parte di Tesla). Un’altra era invece nuova, e questa include l’ingresso nei mezzi pesanti e l’offerta di soluzioni di trasporto urbano.

Per quanto riguarda l’auto l’imprenditore sudafricano naturalizzato americano ha chiarito che accanto alle berline premium ed ai SUV, oltre alla futura Model 3, berlina media la cui versione definitiva pare di capire arriverà solo nel 2018, vedremo un crossover realizzato sulla piattaforma della Model 3 ed un pick-up. Al disotto il mercato non interessa Tesla, anche per il motivo che si vedrà poco oltre. Più sorprendente che al completamento della gamma auto si debba affiancare la motrice Semi ed un bus di dimensioni ridotte, di cui avremo anteprime il prossimo anno.

Sulla scia delle polemiche dovute ad incidenti che hanno masso in questione l’efficacia del software di guida semiautonoma Autopilot, Musk replica che con cinque milioni di chilometri di dati giornalieri raccolti dalle percorrenze della flotta Tesla la correzione alle capacità dei sistemi sono continue e porteranno allo sviluppo di soluzioni anche dieci volte più sicuri della guida manuale tradizionale. Una sicurezza che non tutti condividono ancora, come noto. Sul mercato più grande del mondo, quello cinese, nonostante l’interesse di molti player locali le ricerche sulla guida pienamente autonoma non sono permesse in autostrada.

Il secondo master plan di Musk ha più che qualche grinza su cui lavorare, e non solo quelle delle resistenze alla guida pienamente autonoma. Entrare nel settore dei mezzi pesanti col Tesla Semi sembra anche più difficile che attaccare le posizioni consolidare dei giganti dell’automobile. E tutti i protagonisti, da Scania a Daimler, da Volvo a Daf, sembrano molto meno predisposti ad essere presi di sorpresa: non c’è compagnia che non stia lavorando sull’innovazione a ogni livello dall’elettrificazione alla guida autonoma, anche favoriti dalle minori remore ad investire in ricerca e sviluppo per applicazioni destinate a prodotti cosiddetti big-ticket, con un elevato cartellino del prezzo. Che Tesla possa avere delle buone idee innovative per questo mercato è possibile e sperabile, ma come minimo in un settore strettamente in mano alle aziende dovrà fare a meno del pubblico di fedeli supporter che ha avuto fin dall’inizio tra i privati.

Per quanto riguarda l’ingresso di Tesla nel trasporto pubblico, anche in questo caso si va verso una soluzione che cozza con gli incumbent. Solo che le attuali aziende di trasporto pubblico, seppur ingessate, stanno già muovendosi, anche sulla spinta della nuova offerta che proviene da società giganti delle infrastrutture, come ABB e Siemens. Che Tesla possa proporsi come alternativa alle aziende dei mezzi pubblici locali è plausibile, che abbia qualcosa di davvero epocale da proporre quando già alcune fortunate metropoli hanno messo in strada autobus elettrici o filobus di nuova generazione è tutto da vedere. Soprattutto, nel caso di Tesla, se vuole continuare a proporre prodotti non svenduti a pubbliche amministrazioni sembra destinata a non riuscire, se invece punta al privato come un’alternativa ai bus low-cost, dovrà imparare a fare profitti in un ambiente molto difficile. E finora a vedere Tesla fare profitti non siamo abituati.

Anche più ostico potrebbe essere l’ingresso nel settore del ride hailing, dove Tesla punta a chiedere ai clienti che hanno comprato le sue vetture di metterle a disposizione di un’app gestita da Tesla stessa quando non le useranno. In alcuni mercati Tesla potrebbe nel futuro a medio termine anche proporre passaggi mediante una propria flotta di auto a guida autonoma. Techcrunch.com sostiene che Tesla e Uber abbiano molto in comune, il che lascia sottintendere che possa avere lo stesso successo della rivale. Effettivamente le due condividono una furia iconoclasta verso l’assetto attuale della mobilità e dei trasporti. Se il ride sharing punta davvero a sostituire la proprietà delle vetture, come ha detto in passato l’amministratore delegato di Uber Travis Kalanick questo è possibile solo se vanno giù i prezzi. Magari facendo a meno del conducente.

Peraltro non sarà sfuggito a nessuno che attualmente le compagnie di car-sharing (car2go, enjoy ecc.) usano le loro auto, mentre le società di ride hailing (Uber, Lyft ecc.) prevedono che i conducenti guidino le loro auto, anche se per attirarli mettono a disposizione finanziamenti. La soluzione di Musk di fare ride hailing sfruttando la guida autonoma delle auto dei clienti ha un grosso punto interrogativo: propone di aderire al ride sharing ad una fascia di pubblico che fino ad oggi compra modelli di prezzo medio-alto o premium. Pensare a clienti fedeli (e in più di un caso con afflato missionario di migliorare il mondo) disposti ad aderire al ride hailing con la loro amata Tesla non sembra scontato. A meno che proprio loro siano disposti a fare tutto quello che chiede Musk.

Peraltro come già accennato lo stesso Musk ha invece confermato che sotto alla Model 3 ed al cross-over non ci sarà nessuna Tesla, ovvero nella gamma mancherà proprio la macchina destinata ad acquirenti di reddito medio-basso che ne avrebbero fatto clienti ideale come membri dell’operazione ride hailing. Invece Musk è convinto dell’opposto: che proprio coi ricavi del ride hailing possa crescere la platea degli acquirenti di modelli a prezzi meno contenuti.


Credito foto di apertura: Tesla media website