Il futuro delle batterie chiede ‘prevenzione’: da «hype» eccessivo e aspettative irrealistiche
Le batterie sono una meraviglia tecnologica e pilastro della futura mobilità sostenibile, ma non prive di criticità: un paper uscito su Nature Communications affronta proprio questi aspetti con una chiarezza e lucidità che ci sentiamo di raccomandare a chi ha a cuore il settore. Firmato da Ulderico Ulissi, James Frith e Matt Lacey, quest’ultimo in un post su LinkedIn ha inoltre insistito sul rischio di effetto-boomerang che corre l’innovazione: ci ha concesso di tradurlo integralmente e speriamo vi faccia venire voglia di leggere tutto il paper…
Quando James Frith, Ulderico Ulissi ed io abbiamo iniziato a stendere la bozza della nostra panoramica appena pubblicata come articolo open access, uno dei primi argomenti su cui tutti abbiamo concordato dovesse essere affrontato, e che qui sottolineo, è l’infelice reputazione del settore delle batterie quanto ad hype (N.d.d.: l’esagerazione mediatica).
A nostro avviso, hype ed aspettative irrealistiche sono una conseguenza inevitabile della comunicazione scollegata tra università, industria, fonti di finanziamento e politica, peggiorata da una pletora di incentivi perversi. Uno di questi incentivi perversi prevalenti nel mondo accademico è ciò che definiamo “estrapolazione eccessiva”. Si tratta della tendenza diffusa ad estrapolare i risultati di uno studio al di fuori del suo contesto scientifico nel tentativo di accrescerne l’impatto.
Un esempio comune potrebbe essere, diciamo, uno studio di un nuovo materiale per elettrodi negativi che mostra una durata eccezionalmente elevata nei test preliminari, in una tipica semi-cella da laboratorio con controelettrodo di litio metallico. Vendere tali risultati come un chiaro segno del potenziale di futura commercializzazione (ad esempio, una durata della vita della batteria drasticamente aumentata) è spesso ricompensato da riviste, agenzie di finanziamento e uffici stampa universitari alla ricerca di “impatto”.
Tuttavia, potrebbe essere (e spesso è) che tali prestazioni apparentemente eccezionali siano fortemente ridimensionate quando si introducono alcuni dei fattori inevitabili necessari per l’applicazione pratica, come l’eliminazione degli eccessi di contro-elettrodo ed elettrolita, l’aumento dello spessore e così via. D’altro canto, il materiale potrebbe avere alcune proprietà che potrebbero non essere state misurate nei primi risultati (al di fuori dell’ambito dello studio originale) che lo rendano inutilizzabile nella pratica. Questo è un caso ipotetico, ma il settore purtroppo ora sconta una serie di fallimenti di alto profilo di aziende che alla fine non sono state in grado di dimostrare su scala una ricerca promettente ai primordi per ragioni simili, perdendo ingenti somme di denaro nel processo.
Questi incentivi intaccano anche la qualità scientifica nel mondo accademico. Come mi spiegava di recente il Professor Jürgen Janek, “la buona ricerca di base è purtroppo spesso compromessa e venduta con l’etichetta di batterie del futuro”. Le metriche “da record” e le conclusioni di vasta portata sono purtroppo spesso preferite all’analisi sobria e critica e alla trasparenza dei dati, che non portano a ricerche riproducibili e, a lungo andare, danneggiano solo l’integrità scientifica del nostro campo.
Nel nostro articolo, proponiamo che il settore consideri l’esperienza di altri campi scientifici che hanno subito la loro “crisi di riproducibilità”, come la psicologia e la medicina, e considerino possibili rimedi. Incoraggiamo fortemente iniziative come lo sviluppo di standard nel reporting dei dati, la condivisione di dati grezzi e l’adozione di una discussione sui “limiti dello studio” negli articoli pubblicati. Le ultime due sono cose che gli autori possono facilmente adottare già oggi.
Che ne pensate? Siamo ansiosi di ascoltare i vostri pensieri e feedback e far parlare la comunità di questo e di altri punti che solleviamo nel nostro articolo. Vi preghiamo di condividere e commentare qui!