OPINIONI

Con Koji Sato arriva un cambio di traiettoria per Toyota

Da appassionatissimo pilota, Akio Toyoda sembra aver capito che la sua guida non sta aiutando il suo gruppo ad arrivare alla bandiera a scacchi per primo: cede il volante, ma resta al muretto-box

Il gruppo auto leader globale per volumi ha sorpreso tutti annunciando la nomina, con decorrenza dal prossimo 1 aprile, di Koji Sato a presidente e amministratore delegato Toyota al posto di Akio Toyoda, membro di una famiglia fondatrice che ha tenuto le leve del comando per circa metà della sua storia industriale.

Quest’ultimo assumerà la presidenza del Consiglio di Amministrazione Toyota, attualmente presieduto dallo stimato Takeshi Uchiyamada, ormai arrivato all’età di 76 anni e che ne resterà peraltro membro.

Il successore Sato era entrato in Toyota nel 1992, dopo aver studiato ingegneria meccanica presso la prestigiosa Waseda University di Tokyo e dal gennaio 2021 è stato direttore operativo del gruppo e direttore del marchio.

Il suo balzo nelle gerarchie interne, anche a spese di manager più anziani, è iniziato nel 2020 quando è andato alla guida di Lexus, il marchio premium giapponese particolarmente apprezzato in America. Sato è inoltre diventato anche presidente di Gazoo Racing, il reparto corse Toyota che ha ottenuto successi di rilievo in “classiche” come la 24 Ore di Le Mans e la Dakar.

Che Toyoda gli avesse affidato la responsabilità di un settore che è notoriamente così caro al suo cuore (anche oltre l’effettiva influenza sui destini del gruppo) era probabilmente già un segnale della predilezione che aveva per questo collaboratore.

Sato, al centro nella foto di apertura tra Toyoda e Uchiyamada, assume la carica a 53 anni: la stessa età in cui aveva preso le redini della società nel 2009 Toyoda, diventandone il più giovane presidente e CEO della sua storia in un momento critico per il gruppo, tra crisi economica globale e imbarazzanti richiami.

Allora ricorrere a un membro della famiglia fondatrice era stato un modo di fare quadrato tra le difficoltà, affidandosi all’entusiasmo del (per i criteri giapponesi) giovane manager per l’automobile in tutte le sue espressioni, a cominciare dalla guida (Toyoda partecipa alle corse con lo pseudonimo di “Morizo”).

Il fatto che sia diventato quel capo carismatico di cui l’azienda aveva bisogno nel 2009, adesso che Toyoda ha deciso di cedere le cariche più impegnative, fa interrogare gli addetti ai lavori se Sato sarà in grado di esercitare un suo stile manageriale, con quella figura così ingombrante alle spalle. E anche con molti dei dirigenti intorno a lui più anziani, un fatto che conta ancora molto in Giappone.

“Il fatto che sia succeduto a Toyoda a quell’età (53) suggerisce che Sato potrebbe continuare a guidare l’azienda per il prossimo decennio, quindi i prossimi anni sarebbero solo una sorta di periodo di apprendistato per Sato come presidente”, ha affermato Koji Endo, analista senior di SBI Securities in una nota alla clientela della società finanziaria.

Toyoda sarebbe quindi destinato a rimanere una forza dominante all’interno della più grande casa automobilistica del mondo per gli anni a venire, e continuerà a influenzare l’agenda dopo le dimissioni ad aprile, hanno commentato esperti e persone che hanno familiarità con l’azienda dopo l’annuncio di questa settimana.

“È probabile che rimarrà attivo come presidente per molto tempo e continuerà a lasciare il segno sulla Toyota”, ha detto Julie Boote, analista presso Pelham Smithers Associates a Londra all’agenzia di stampa Reuters.

Storico pioniere di tecnologie come l’ibrido (Prius) e l’idrogeno (Mirai), Toyota ha però tardato a riconoscere l’accelerazione dei mercati globali sui veicoli completamente elettrici, a differenza di molti maggiori concorrenti esteri, attirandosi così molte critiche, in particolare da parte delle ONG ambientaliste e dagli investitori di fondi con criteri ESG.

Il gruppo ha infine annunciato importanti investimenti in questo segmento a fine 2021, ma se Toyoda in persona ha voluto farsi fotografare con la gamma di BEV, ha però personalmente e ripetutamente contribuito a ridimensionare la dimensione strategica di questa pianificazione esprimendo scetticismo sulle prospettive reali delle auto elettriche per il mercato di massa.

In pratica i BEV sono visti dall’erede del fondatore come una delle tante “province dell’impero” Toyota, e per i suoi critici metterli sullo stesso piano di tecnologie viste come in declino quale l’ibrido o di dubbia praticità come l’idrogeno sono una indiretta conferma di un atteggiamento dannoso per il futuro dell’azienda.

Non aiuta che il lancio del crossover BZ4X, modello inaugurale della nuova gamma elettrica, sia partito col piede sbagliato con una immediata campagna di richiamo subito dopo l’arrivo nelle concessionarie, per un problema coi fissaggi delle ruote.

Lo sfortunato lancio del BZ4X sembra mettere in luce un aspetto essenziale e determinante della catena di eventi che ha fatto decidere Toyota di promuovere Sato.

In questi mesi stiamo assistendo a un cambiamento dirompente di quelli che si vedono una volta ogni cento anni. Questa è un’epoca in cui per l’industria dell’auto i lustri sembrano secoli: la transizione globale non può aspettare i tempi né rispettare i cronoprogrammi tracciati a Toyota City, nota per la maniacale pianificazione.

Quello che è sempre stato un punto di forza, in circostanze eccezionali può diventare una zavorra e alcune frasi di Toyoda durante l’annuncio lasciano intuire che se ne sia reso conto. Toyota non è mai stata un’azienda che puntava i piedi nell’investire in innovazione.

Al contrario è sempre stata disposta a investire in tecnologia in cui credeva anche contro lo scetticismo, come ha dimostrato ampiamente il capitolo Prius, che peraltro è stata voluta dal precedente amministratore delegato Uchiyamada e non da Toyoda. Entrambi però sono stati disposti ad attendere anni per raccogliere i frutti con una pazienza degna di una scuola di origami.

Toyota ha anche investito da decenni nelle batterie: lo confermano il primato nei brevetti sulla ricerca nelle batterie solid state. Ma anche questo conferma un approccio dal respiro molto lungo, considerato che la tecnologia degli elettroliti solidi da nessuno viene considerata un fattore dirimente fino agli Anni ’30.

Toyoda personalmente e in generale il gruppo sembrano aver sempre vissuto con disagio lo scarso apprezzamento di quella che loro vedono come lungimiranza. Uno sguardo che punta lontano che non riguarda solo l’auto completamente elettrica ma anche più in generale la mobilità urbana a zero emissioni.

Se Toyota infatti in questi giorni lavora perfino a partenariati sulle bici-cargo questo non è una retromarcia, piuttosto un altro tassello di una pianificazione che ha visto in passato il gruppo presentare prototipi di veicoli elettrici personali per uso urbano e anche per disabili, sfoggiati con gran enfasi prima dei Giochi Olimpici a Tokyo.

Mentre l’innovazione si affaccia in modo sempre più prepotente, le case automobilistiche storiche non possono più contare sul perfezionamento della tecnologia dei veicoli maturi per rimanere competitive.

Se Toyota ha dimostra una difficoltà innata a trasformarsi in un gruppo che prende decisioni e stende nuovi piani in modo veloce, altrove concorrenti sempre più aggressivi fanno il contrario. Non solo i gruppi auto cinesi (o Tesla), anche i rivali asiatici che sono appena oltre uno stretto braccio di mare.

Ci sono case automobilistiche affermate che stanno investendo molto nei veicoli elettrici, alcuni più velocemente e con più successo di altri. Giovedì scorso Hyundai Motor ha riportato risultati migliori del previsto, alimentati in parte dalle forti vendite della sua nuova gamma di veicoli elettrici. La rivale della Corea del Sud prevede che le sue vendite di veicoli elettrici aumenteranno del 54% quest’anno, un ritmo di crescita più rapido di quanto previsto dalla stessa Tesla.

A far decidere Toyoda che sia arrivato il momento di cominciare a ritagliarsi un ruolo sullo sfondo (non a uscire di scena) sono i fatti e gli anni; fatti come quelli che si vedono nelle linee di montaggio coreane e cinesi e quello che rappresentano per i bilanci, e sono gli anni, anni che si sono messi a correre a perdifiato mentre il manager giapponese si aspettava che si conformassero ai suoi voleri e ai ritmi che hanno fatto la fortuna dell’azienda fino a 4-5 anni fa.

“Toyota è un’azienda pubblica a cui piace fingere di essere un’azienda familiare”, ha commentato John Shook, ex-manager Toyota ora consulente sulle tecniche di lean management della casa automobilistica. “Scegliere qualcuno che è molto più giovane e con il background di Sato indica che Akio ha riconosciuto che era giunto il momento del cambiamento”. Cambiamento sì, ma verso dove?

La sensazione è che Toyoda e la famiglia del fondatore abbiano improvvisamente preso atto delle potenziali unintended consequences dei ritmi sincopati che volevano imporre alla transizione in atto.

Una “famiglia regnante” ha altri tempi, tempi storici rispetto a una famiglia di una dinastia industriale. I Valois o gli Asburgo avevano tutto il tempo necessario messo a disposizione dalla storia per vedere i loro piani prendere forma.

La psicologia di Toyoda rivela aspetti da membro di una famiglia regnante: lo dimostra la sua biblica pazienza nell’attendere di arrivare a un risultato voluto come la vittoria alla 24 Ore di Le Mans. Se dal 2018 le Toyota sono regolarmente prime al traguardo, la precedente serie di disfatte avrebbe indotto qualunque altro CEO a chiudere il programma e ritirare il budget. Ma non Akio Toyoda.

Continuare ad aggrapparsi ai tempi del vecchio business plan e tenere duro sull’ibrido convenzionale può finire per ritagliare a Toyota una fetta crescente di mercato basato su clienti che non possono permettersi auto elettriche pure (o fuel cell) più costose e impegnative, andandosi pertanto a scontrare direttamente con i gruppi cinesi che hanno già messo piede in segmenti budget in Africa, Sudamerica e Asia.

Possiamo addirittura ipotizzare che resistere nella trincea che Akio Toyoda ha scavato avrebbe trasformato Toyota in una versione globale di un marchio come Dacia: una casa che è un faro per la clientela europea che fatica a far quadrare i conti e preziosa per il gruppo Renault.

Ma Dacia produce modelli che se possono contribuire molto ai volumi, non possono creare per ovvi motivi utili effervescenti. Nel panorama dell’auto globale chiunque si impegni in densi programmi di produzione elettrica, da Ford a General Motors, da Volkswagen a Stellantis, può contare sulla sicurezza dei ricavi di pickup o SUV per pagare gli investimenti necessari: incrementare i volumi di Yaris (o di kei-car o di quadricicli) non può pagare un conto di quella entità.

La spietata chiarezza dei numeri viene a galla in modi sempre più evidenti. Un giorno prima della conferenza stampa di Toyoda era arrivata un’altra conferma che nell’arcipelago del Pacifico stanno ricevendo quei segnali.

Ad esempio riguardo alla piattaforma per la gamma al 100% elettrica Toyota il quotidiano Asahi Shimbun pubblicava un articolo dal titolo (nell’edizione in lingua inglese) “Toyota to develop EV-only car platform so it can rival Tesla”.

La piattaforma attualmente in uso è flessibile, concepita anche per la gamma ibrida convenzionale o ricaricabile. Di conseguenza i costi di produzione sono superiori a quelli di piattaforme auto solo elettriche, come quella Tesla. Toyota avrebbe capito che non sarà in grado di generare profitti decenti e competere con Tesla continuando a utilizzare la piattaforma attuale che supporta modelli come BZ4X.

Così ha deciso di progettarne una nuova da zero, uscendo dagli schemi abituali della pianificazione rigida. La nuova piattaforma per soli veicoli elettrici sarà un classico esempio skateboard e sarà l’ideale per produrre veicoli elettrici in grandi volumi, riducendo i costi della linea. Dal prossimo 1 aprile Sato da amministratore delegato Toyota avrà ancora un orecchio teso verso il predecessore; ma i suoi occhi saranno tutti su quei numeri.

Credito foto di apertura: ufficio stampa Toyota Motor Corp.