INFRASTRUTTURA

Arriva il bollino blu di Nicolas Hulot sull’auto a zero emissioni

Per assicurarsi la prima fila nella corsa all’idrogeno la Francia chiama a raccolta industria e ricerca e vuole 5.000 auto e 100 stazioni di rifornimento già nel 2023

Venerdì 1 giugno tutti i ricercatori e gruppi industriali francesi che da tempo resistono impavidi nelle trincee della tecnologia fuel cell devono essersi sentiti come Winston Churchill al momento dell’entrata in guerra degli Stati Uniti nel 1941: molto meno soli.

Meno soli almeno da quando il ministro francese della Transizione Ecologica Nicolas Hulot ha annunciato la sua convinzione che il futuro dell’auto possa essere proprio nella molecola dell’idrogeno.

Soprattutto perché non lo ha solo annunciato, ma ha deciso di puntare €100 milioni a supporto di un piano che la filiera francese dovrà trasformare in ricerca, in lavoro, in prodotti.

L’idrogeno può diventare una soluzione cardine per il nostro mix energetico di domani“, ha sostenuto l’ex-star televisiva che, noto per la seguitissima trasmissione Ushuaia, possiamo paragonare ad una sorta di “Alberto Angela transalpino”.

Le parti interessate si sono anche date degli obiettivi: 5.000 auto vendute nel 2023 (e 200 veicoli pesanti, una quota forse timida questa, pensando a certi recenti sviluppi) accompagnate da una rete di postazioni di rifornimento di idrogeno che raggiunga in quel momento il centinaio, rispetto alle venti odierne.

Vale a questo punto la pena di fare qualche paragone per mettere controluce le cifre fissate dal ministro: il traguardo di stazioni di rifornimento si avvicina agli obiettivi ambiziosi del Giappone, mentre quelle attuali sono meno della metà di quelle tedesche.

Nicolas Hulot ha anche in mente di arrivare alla fine del piano a produrre almeno il 10% di idrogeno senza fare ricorso ai combustibili fossili. Un progetto che si appoggerebbe all’elettrolisi basata su energia senza emissioni di Co2: prodotta, certo, dalle energie rinnovabili ma anche, pare di capire, dalle centrali nucleari transalpine.

Sulla carta si tratta di un piano, oltre che a zero emissioni, particolarmente ritagliato sulle caratteristiche strutturali della Francia. I dubbi, non pochi, che sono stati sollevati riguardo alle prospettive del piano sono essenzialmente di natura economica.

Come nel caso del celebre e non fortunatissimo piano Juncker, Nicolas Hulot pare essere straordinariamente ottimista sull’effetto-moltiplicatore dei suoi fondi per l’impegno della filiera industriale, una filiera che ha peraltro in campo alcuni campioni globali del settore, da Air Liquide ad EDF.

E gli investimenti richiesti sono corposi. Al quotidiano Le Parisien il direttore generale di Hyundai France (società che certamente crede nella tecnologia fuel cell) Lionel French Keogh ha fatto notare che sviluppare l’infrastruttura richiederà tra i €5 e gli €8 miliardi se si vorrà arrivare ad avere le 400 stazioni di rifornimento necessarie nel 2030 ad un ipotetico parco veicoli di 50.000 auto ad idrogeno.

Peraltro il non riuscire a mettere in movimento la filiera, condannerebbe la produzione di idrogeno da elettrolisi ottenuta da tecnologie a zero emissioni a restare a costi superiori a quella che si può ricavare già dalle raffinerie di petrolio.

Il ministro Hulot, tuttavia, sembrerebbe poter contare su un altro fattore oltre a quello strettamente ragionieristico: in una tecnologia ancora costosa gli investimenti ed il know-how tutti da sviluppare aprono spazi per creare da zero o quasi un settore in cui la concorrenza dei paesi emergenti non sarà in grado di giocare sull’abituale doppio vantaggio (dimensioni e costi).

E, come da almeno da un decennio altri hanno scelto di fare (i vertici Toyota ad esempio), in Francia Hulot pare voler preferire di consolidare le basi per una sfida che si presenterà a fine anni ’20, piuttosto che invischiarsi in scaramucce di retroguardia su un terreno come quello delle batterie agli ioni di litio che i produttori asiatici hanno già stravinto.

C’è infine un altro elemento che si è aggiunto solo di recente: finora, almeno da tre lustri, l’innovazione sulla filiera dell’idrogeno ha contato sulla spinta e sui fondi di Bruxelles, grazie all’impulso di politici preveggenti come Philippe Busquin ed Ignacia Loyola de Palacio che ha portato nel 2002 alla creazione del Fuel Cells and Hydrogen Joint Undertaking (FCH JU).

I rischi di frammentazione dell’Unione Europea sembrano ormai consigliare chi ha strutture e filiere in grado di eccellere in innovazione di copiare l’approccio di Bruxelles che scavalcava quello tradizionale che contava sugli sforzi individuali dei grandi gruppi, per spingere piuttosto verso lo sviluppo integrato e coordinato dei player dei settori ricerca, energia e trasporto, a meno di voler essere certi di essere superati dai progressi di chi è in grado di far fronte a queste sfide in modo strutturato.


Credito foto di apertura: ufficio stampa Hyundai USA