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Dopo l’accordo con Tata toccherà a Škoda fare l’indiana

L’alleanza a sorpresa del gruppo Volkswagen con Tata potrebbe guardare molto più lontano del solo sviluppo di modelli low cost

Quando hanno preso a circolare poche ore fa, nei momenti più caldi del salone di Ginevra, le prime voci di una collaborazione tra il gruppo Volkswagen e quello Tata, non è mancata la sorpresa. E questo malgrado la fase dei consolidamenti nel mondo dell’auto sia fresca dell’accordo PSA-General Motors riguardante i marchi Opel e Vauxhall. Oggi però abbiamo conferma ufficiale che il capo del settore auto di Tata Günter Butschek e gli amministratori delegati del gruppo Volkswagen e di Škoda Matthias Müller e Bernhard Maier (nella foto) hanno firmato un memorandum d’intesa.

In questo caso la nota comune è interessante ed utile per capire dove porterà la collaborazione strategica. Dal punto di vista della durata è tutto chiaro: a lungo termine. Dal punto di vista dei settori in cui prenderà forma la collaborazione, l’obiettivo dell’alleanza strategica è “sviluppare congiuntamente componenti e potenzialmente anche veicoli“.

I settori sembrano ben definiti, quindi. Per le future linee guida, la nota rinvia a futuri dettagli. Ma è lo stesso gruppo di Wolfsburg a venirci indirettamente in aiuto nel tracciare un quadro in prospettiva futura: laddove rimarca che la firma del memorandum con Tata Motors Ltd. segna un ulteriore pionieristico passo avanti nell’ambito della propria Together–Strategy 2025.

Rileggendo le comunicazioni diffuse il 22 giugno 2016, ritroviamo la grande enfasi posta da Müller sui settori di guida autonoma e tecnologia delle batterie. L’amministratore delegato sottolineava allora che diventeranno competenze primarie e che sui veicoli completamente autonomi sarebbero arrivati investimenti di miliardi.

Il gruppo Volkswagen ha appena presentato il suo concept Sedric, che ci ha dato un’idea di quanto conti il tema dell’autonomia per Wolfsburg. Ma pur se non al livello del gruppo auto numero uno al mondo o dei giganti della Silicon Valley, anche Tata ha qualcosa di suo da mettere a bilancio per ricerca e sviluppo.

I tecnici indiani si sono gettati nell’area più complicata in cui far lavorare sensori e software per la guida autonoma: quello del traffico nelle metropoli asiatiche, come ricorda questo post. Inoltre il gruppo controlla la marca Land Rover che, puntando sulla nicchia in cui il fuoristrada è determinante, a sua volta lavora su progetti che consentiranno alla guida autonoma di lavorare con successo sulle strade bianche o nel fango.

Mettendo insieme i risultati di quei due settori lo sviluppo della guida autonoma potrebbe accelerare verso il superamento dei limiti al Livello 4 SAE, che prevede l’intervento da parte dei computer di bordo soltanto con restrizioni più o meno stringenti, escludendone ad esempio l’attività fuori dalle autostrade o da strade coperte da mappature ad alta definizione.

Per quanto riguarda le batterie, quello indiano per le auto elettriche è attualmente un mercato limitatissimo. Ma per vendite complessive si tratta pur sempre del terzo mercato asiatico dopo Cina e Giappone. Inoltre sono in India metà delle quaranta città più inquinate del mondo ed il ministro dell’energia Piyush Goyal preme per l’obiettivo ambizioso di un parco veicoli tutto elettrico nel 2030. E che si arrivi ad un tale livello o meno nel futuro, nel 2025 ad esempio, Volkswagen si aspetta la necessità di 150Gigawatt/ora produzione per la sua sola flotta, quindi la domanda di batterie è destinata a crescere.

Nel piano del giugno 2016 Volkswagen scriveva di riassetto e compattamento del business dei componenti per le 26 sedi attuali distribuite in cinque continenti. Il fatto che nel fresco accordo Volkswagen-Tata si accenni prima ai componenti e poi ai veicoli lascia pensare che un possibile oggetto di collaborazione sia quello delle batterie, un prodotto per cui l’Asia appare un valido potenziale fornitore, specie quando il continuo calo dei prezzi porterà a mettere in difficoltà i fornitori privi di economie di scala.

In questo modo, peraltro, il gruppo Volkswagen comincia già a guardare ad alternative ai partner-fornitori abituali: quelli dell’Europa orientale e quelli della Cina. Fare di una delle nazioni ad alta crescita un ulteriore mercato è una sorta di assicurazione contro i rischi di paesi demograficamente vecchi come l’est Europa o in cui, come in Cina, la crescita diminuisce, i livelli dei salari si assestano verso l’alto, mentre nascono i primi casi di conflitti sul lavoro.

In quest’ottica, Volkswagen sembra aver preso atto dell’insegnamento di chi con l’India sta avendo successo, come Renault e Suzuki. I francesi nel paese asiatico stanno avendo successo grazie alla filosofia simil-Ikea del super-manager Gerard Détourbet, che ha in precedenza messo sulla carta geografica industriale il marchio Dacia per conto del gruppo guidato da Carlos Ghosn. Suzuki con Maruti ha insegnato ad avere successo senza vergognarsi dei bassi prezzi e del livello minimale di qualità di alcuni segmenti di prodotto. Toyota, volendo crescere a livello asiatico, ha deciso di allearsi con Suzuki perché capisce il mercato, invece di pretendere presuntuosamente di piegare il mercato alle proprie politiche.

Non a caso, per dare il via libera alla partnership strategica in India, il gruppo Volkswagen ha scelto di porre la marca Škoda alla guida del progetto. Per espandere la gamma di prodotti in mercati emergenti ad alto tasso di crescita una soluzione flessibile a sufficienza da poter essere piegata all’occorrenza a necessità locali senza urtare suscettibilità.  offrire soluzioni di mobilità nei mercati automotive emergenti e ad alto tasso di crescita, e anche altrove. Offrendo i giusti prodotti, vogliamo ottenere una crescita sostenibile e redditizia in diverse parti del mondo. Ecco perché stiamo perseguendo sistematicamente la nostra strategia di crescita regionale”,
ha commentato Matthias Müller, CEO del Gruppo Volkswagen.


Credito foto di apertura: Volkswagen media services