La sindrome cinese e il blocco dei sussidi
Il primo mercato dell’auto verde a gennaio si è bloccato e le vendite di “new energy car” sono crollate del 70%
Per metà dello scorso anno gli esperti del settore hanno scosso la testa prendendo nota di come nemmeno gli incentivi federali fossero serviti a risvegliare l’interesse degli automobilisti tedeschi verso le auto elettriche. Da gennaio però qualcosa si è mosso: sono state 2.715 le auto immatricolate, un 90% in più anno su anno per cominciare con una quota dell’1,12% del totale che è molto meglio del precedente 0,75%. E da non trascurare che le auto a batteria come la reginetta BMW i3 sono cresciute del 150% rispetto al 59% delle ibride ricaricabili.
Difficile dire se i tedeschi si sono finalmente accorti degli incentivi, o magari delle postazioni di ricarica (anche veloce) che in Germania spuntano ormai come funghi. Quello che è certo invece che mentre a Berlino le auto elettriche attirano a Pechino non sembra più così. E in questo caso gli incentivi, per la precisione la loro improvvisa assenza, c’entrano eccome. Le vendite di veicoli elettrici in Cina, spiega il sito Caixin Global a gennaio sono affondate: quasi del 70%.
La fine dell’interesse di compratori e produttori coincide con la decisione del governo di intraprendere una energica ristrutturazione del sistema di incentivi, uno schema spesso abusato. Nati per dare un sollievo a quell’emergenza-inquinamento che in alcune megalopoli è diventata ormai un allarme quotidiano, lo schema di incentivi ha portato clienti e produttori ad alzate d’ingegno che hanno infastidito i regolatori.
Alla fine dello scorso anno le autorità del potentissimo ministero dell’industria e dei trasporti hanno fatto sapere che il catalogo, molto generoso nel consentire l’accesso e che comprendeva 2.193 modelli di 235 produttori, sarebbe stato rivisto. Quasi a sottolineare il potere del regolatore, se non si è inclusi nell’elenco non si può accedere a sgravi fiscali e sussidi, Pechino se l’è presa comoda con la compilazione del nuovo e più accurato elenco di cosiddetti new energy vehicles.
I sussidi non sono stati aboliti, ma non c’è il nuovo catalogo di chi potrà usufruirne. E vendere senza incentivi si è tradotto in un crollo del 74% delle vendite di questi mezzi, tra i quali anche moltissimi piccoli quadricicli e vetturette da città, con solo 5.682 immatricolati. La produzione è stata leggermente superiore, con 6.889 unità e comunque un calo del 69,1%. Lo scorso anno le vendite erano state di 40.000 pezzi elettrici al mese, con il 2016 conclusosi a 507.000 unità elettriche vendute nelle varie versioni.
Xu Haidong, dirigente della associazione cinese dei produttori di auto, ha dichiarato al Caixin Global di aspettarsi vacche magre anche a febbraio e marzo, ma con un rimbalzo del mercato da allora in avanti, quando il nuovo catalogo si prevede sia pubblicato, depurato delle criticità (che hanno permesso false dichiarazioni sulla potenza delle batterie, ad esempio). Per l’anno in corso l’associazione prevede un totale compreso tra 700.000 ed 800.000 mezzi immatricolati, il che confermerebbe la Cina come mercato elettrico numero uno al mondo.
Non tutti sono così ottimisti però: anzitutto perché in ogni caso è già previsto che il governo centrale proceda dal 2019 con una graduale riduzione degli incentivi. Inoltre non è chiaro, considerata la situazione dei bilanci degli enti territoriali impegnati in molti casi a tirare la cinghia, se anche a livello locale potrà continuare la politica di sussidi con la generosità a cui si erano abituati gli automobilisti cinesi fino a dicembre dello scorso anno.