V.E.

Un quadriennio di opportunità per l’auto elettrica in Italia

L’E-Mobility Report 2017 del gruppo di lavoro del Politecnico di Milano ipotizza scenari per vendite ed infrastrutture

In un panorama di mobilità elettrica segnato da vendite e diffusione globale che crescono ma in cui l’Italia è stagnante, stamattina nell’aula magna del campus Bovisa del Politecnico di Milano è stato presentato l’E-Mobility Report 2017. Il direttore dell’Energy & Strategy Group che fa capo al Politecnico, Vittorio Chiesa ha sottolineato come il report proponga due scenari per cercare di mettere a fuoco le prospettive e le opportunità di sviluppo della mobilità elettrica in Italia.

Il primo scenario, definito EV pull, si concentra sulla forza attrattiva della massa di modelli elettrici che un gran numero di gruppi dell’auto sta preparandosi a lanciare e che, in base a quanto oggi noto, comporta che nel 2020 il cliente potrà scegliere fra almeno 54 modelli a batteria diversi distribuiti nei vari segmenti, inclusi una quindicina nell’affollato segmento C.

In questo caso si ipotizza di vedere vendute, tra gennaio di quest’anno e dicembre del 2020, 70.000 auto. Una crescita che passerebbe dallo 0,1% del mercato totale 2016 al 2% nel 2020. Il controvalore di questa quota di vendite oscillerebbe (dipende se il successo coinvolgerà di più i segmenti popolari o premium) tra €1,75 e € 2,45 miliardi. Tutto partendo dalla debole soglia attuale di €75 milioni. Gli esperti del Politecnico hanno anche calcolato l’impatto sulle infrastrutture di ricarica: le colonnine muoverebbero cifre tra €225 e €384 milioni.

Lo scenario alternativo prevede un ruolo molto più centrale per l’infrastruttura di ricarica. Definito PNIRE push, da Piano Nazionale Infrastrutturale per la Ricarica dei Veicoli Alimentati ad Energia Elettrica, è incentrato su un fondo con risorse per €33,5 milioni accantonate per modernizzare ed incrementare le postazioni di ricarica. Attualmente sono stimate in circa 9.000 di cui 1.750 pubbliche. Solo il 4% delle postazioni pubbliche è a carica veloce (oltre 22 kW), in compenso lo scorso anno il numero è cresciuto vivacemente, del 28%.

Lo scenario in questo caso ipotizza di arrivare nel 2020 ad un traguardo di punti di ricarica pubblici compreso tra i 4.500 ed i 13.000. Il numero delle postazioni veloci dovrebbe collocarsi tra un minimo di 2.000 ed un massimo di 6.000. L’effetto-trascinamento sarebbe dirompente sul mercato secondo questo scenario (si tenga presente che è stato disegnato soprattutto dal confronto tra ricercatori milanesi ed esperti delle aziende del settore: da Enel a Eni).

In altri termini, spingendo sull’infrastruttura fino a rendere la ricarica elettrica comune quanto la stazione di servizio attuale, ci sarebbero ben 130.000 auto elettriche sul mercato nel 2020: l’85% più che nel primo scenario. Gli investimenti sulle postazioni di ricarica compresi tra i €337 ed i €577 milioni porterebbero a ricavi per il settore auto tra i €3,25 ed i €4,55 miliardi.

Si tratta di un quadro perfino troppo bello per essere vero? La prima considerazione in proposito viene dalla recente notizia che ci ha spiegato, tramite la Corte dei Conti, che finora i fondi in questo campo sono stati bloccati, più che erogati. Eppure, nonostante questo, il numero delle colonnine come abbiamo visto crescono.

E sono molti gli addetti ai lavori convinti che questa sia una chiave per assicurare il successo dell’auto a batteria. Un esempio lampante è quello tedesco. Come sappiamo l’economia ed i redditi nel complesso in Germania crescono. E le autorità competenti hanno erogato incentivi agli acquisti delle auto a batteria. Ma finora i numeri del 2016 (il primo anno di incentivi) sono rimasti ostinatamente incollati ai totali dell’anno precedente, senza incentivi.

È solo una questione di costi o di mentalità? I prezzi dei modelli disponibili, incentivi inclusi, non sono poi molto diversi da quelli delle auto a gasolio o benzina. Ed i tedeschi non mancano di avere una elevata sensibilità ambientalista. Ma le due cose non sembrano essere state sufficienti a convincere gli automobilisti, in presenza di modelli (anche quelli delle case nazionali come BMW, Daimler o Volkswagen) dalle autonomie modeste, specie per un popolo abituato a fare tanta strada, ad esempio per le vacanze.

Sarà un caso, ma un marchio noto per la propria capacità innovativa come Porsche nel lanciare la propria Mission-E ha messo in evidenza tra le molte virtù della creatura che uscirà nel 2019 la possibilità di consentire al cliente (benestante) che abita a Berlino di partire tranquillamente con la moglie per andare a pranzo sul Lago di Costanza senza ansie di rifornimento. E con soste accettabili (grazie a nuove postazioni veloci ad 800v) che non allunghino oltremodo i tempi del viaggio, rispetto a chi guida una GT di Stoccarda a benzina. Insomma: no, non è un caso.

L’Energy & Strategy Group del Politecnico di Milano nell’interessante ed accurato report sembra più convinto di quanto lo sia questo blog dell’eccessivo ottimismo dello scenario che punta maggiormente sull’infrastruttura. Davide Chiaroni, Federico Frattini e Marco Guiducci, che hanno guidato il gruppo, suggeriscono un riallineamento più modesto del PNIRE verso obiettivi in linea con le attese delle vendite di auto.

Inoltre invitano ad una maggiore attenzione per gli incentivi all’acquisto, che vedono in effetti l’Italia fanalino di coda come agevolazioni. In ogni caso, sottolineano, non è il momento di temporeggiare troppo a lungo per non perdere opportunità. Dato che la palla dal punto di vista delle decisioni sulle auto elettriche vere e proprie è in mano ai grandi gruppi, e il fattore decisivo per far decollare il mercato è il calo dei prezzi delle batterie, qualcosa che è del tutto fuori dalla portata delle scelte dei governi, viene da dire che è forse il caso, dovendosi assumere un rischio, di sbagliare puntando su troppa infrastruttura che su troppi incentivi.

Nel nostro caso, la crescita dei veicoli elettrici appare davvero un processo dominato dalla classica legge di Say. L’offerta crea la domanda. A Firenze ad esempio posso dare evidenza anedottica del gran numero di veicoli elettrici (non necessariamente auto, sono tanti i piccoli veicoli commerciali e i quadricli) che le molte colonnine, pur modeste per potenza, stanno attirando. E proprio la relativa assenza di stazioni di ricarica veloce induce ad aggiungere un caveat finora spesso trascurato nelle considerazioni sui possibili scenari del quadriennio.

Ritornando alle cause del flop degli incentivi in Germania di cui fare tesoro nello scegliere le politiche anche qui, non è solo il numero di stazioni disponibili a potere potenzialmente far slittare in avanti l’adozione dell’auto elettrica: la velocità della ricarica è un uguale ostacolo.

Vale la pena di leggere questa colonna di Lawrence Ulrich su TheDrive.com per capire che la presunta comodità della ricarica notturna e casalinga dell’auto elettrica è in realtà la reazione della volpe di fronte all’uva che è troppo alta da raccogliere, o da ricaricare. La ricarica casalinga è, scrive Ulrich “una soluzione in cerca di un problema che non c’è”: non ci sono al mondo legioni di automobilisti che odiano le pompe di benzina per la scomodità di fermarsi, caso mai le odiano quando pagano il conto, secondo prezzo del barile.

In Israele una startup, StoreDot, sta sviluppando una batteria per auto in grado di assorbire in cinque minuti quello che serve per guidare quasi cinquecento chilometri, quello che tra i veicoli a zero emissioni oggi è possibile solo alle auto a fuel cell di Toyota o Honda. Quello, prezzi permettendo, sarebbe davvero il tipo di salto tecnologico che renderebbe l’adozione di veicoli a batteria interessante anche per il più tradizionalista degli automobilisti e non renderebbe ottimistica ma realistica la fiducia nelle prospettive del 2020, anche in Italia.


Credito foto di apertura: sito ufficio stampa Renault Italia