Il dilemma pirandelliano delle fabbriche di batterie
Ecco come la produzione di batterie per gruppi come Volkswagen e Daimler può diventare un investimento mefistofelico
Oggi il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, come riferisce l’agenzia Reuters, pubblica un’intervista col capo del personale Volkswagen Karlheinz Blessing. Il dirigente tedesco, uno tra i solo nove che siedono nel massimo consiglio del gruppo, ha confermato alla FAZ che le caratteristiche delle auto elettriche, meno complesse e costituite da meno pezzi rispetto alle auto convenzionali, porteranno a linee di assemblaggio sempre meno affollate.
I consigli di fabbrica Volkswagen si aspettano che in futuro il gruppo abbia 25.000 dipendenti meno di ora: pensionati non sostituiti. E i consigli di fabbrica sembrano ora determinatissimi a far arrivare al prossimo consiglio di sorveglianza, che si riunirà il 18 novembre per approvare i futuri piani di spesa, la loro richiesta all’azienda di investire in una propria linea di produzione di batterie. Blessing al giornale di Francoforte ha detto: “Se il 30% della futura creazione di valore sarà nel pacco batterie, è giusto considerare se entrare nel settore e in quale misura. Non possiamo lasciarlo agli altri. Quanto in profondità saremo coinvolti è una questione che discuteremo nell’ambito del prossimo accordo”.
Costruire in proprio le batterie per i trenta modelli elettrici che il gruppo di Wolfsburg ha detto di voler sfornare da qui al 2030 invece che acquistarle da coreani, giapponesi o cinesi, può sembrare a prima vista un’ovvietà. Invece si tratta dell’inizio di un possibile scontro interno al vertice Volkswagen. L’amministratore delegato Mathias Müller è infatti avverso alla soluzione interna per le batterie ed ha smentito le molte voci che si erano sparse la scorsa primavera.
Una giga-factory di batterie odierna richiede investimenti colossali ed in essa è dominante la componente dell’automazione, quindi crea anche relativamente pochi posti di lavoro. Per un gruppo che deve cercare risparmi e tagli ovunque non esattamente un buon punto di partenza. Müller preferisce quindi optare per la soluzione esterna, anche se è ben consapevole dei possibili attriti che questo comporterà nei prossimi consigli di amministrazione.
Un genere di lotte interne che sembra poter evitare invece la concorrente Daimler: come riferiva l’agenzia Reuters il rappresentante dei dipendenti nel consiglio di sorveglianza Michael Brecht ha da tempo chiesto all’azienda il ricorso a scelte interne per la fornitura di batterie. E Mercedes-Benz evidentemente concorda perché sta mettendo in piedi una rete produttiva del costo di un miliardo di euro con quartier generale in Sassonia. A Kamenz è appena stato dato il via ai lavori di costruzione di un secondo impianto: quadruplicherà la superficie per produzione e logistica fino a circa 80.000 m2.
La casa della stella a tre punte vuole costruire batterie perché sono il componente di maggior valore delle auto del futuro. I dieci modelli con la stella a tre punte che arriveranno sul mercati entro il 2025 avranno così batterie Deutsche Accumotive, il che piacerà al governo tedesco, che vuole un milione di auto elettriche in strada entro il 2020.
Daimler, anche a fronte dei colossali investimenti necessari e di un numero non straordinario di nuovi posti di lavoro creati, ha quindi aver scelto l’opzione interna: andrà a caccia del valore. È la risposta corretta e definitiva al quesito sull’opportunità di scegliere o meno la soluzione interna nella fabbricazione di batterie? Soltanto se non si è mai sentito parlare dell’home market effect.
L’economista Paul Krugman soprattutto all’inizio della sua carriera si è occupato molto di commercio internazionale. Automotive e batterie sono certamente componenti del più ampio commercio internazionale. Krugman in un post dell’11 ottobre scrive: “immaginate un bene o un servizio soggetto a grandi economie di scala nella produzione al punto che, se consumato in due nazioni, lo si voglia produrre in una sola ed esportare nell’altra, anche se ci sono costi di trasporto. Dove sarà basata questa produzione? A parità di condizioni, si sceglierebbe il mercato più grande, così da minimizzare i costi di trasporto totali“.
Se il bene in questione sono le batterie, il ragionamento di Krugman dovrebbe far suonare dei campanelli d’allarme per chi come Daimler ha scelto di produrle internamente. Perché il mercato dell’auto più grande a livello globale è la Cina. E, anche se il mercato europeo è cresciuto a settembre del 47% anno su anno, il mercato più grande per i veicoli elettrici è sempre la Cina. A medio e lungo termine le dimensioni dei rispettivi mercati possono rendere meno competitive le batterie di Kamenz, o in generale quelle prodotte in Europa.
Il tema delle fabbriche di batterie non pare essere in grado di uscire da un odierno dilemma pirandelliano per cui non invidiamo gli amministratori delegati dei grandi gruppi europei. C’è una espressione americana che rende bene l’idea: damn-if-you-do-it-damn-if-you-dont. Se lo fai sarai dannato, se non lo fai anche. Se tu, amministratore delegato, decidi di non costruire una fabbrica di batterie lasci ad altri la produzione del cuore delle auto del futuro ed una fetta importante del valore del prodotto. Ma se costruisci una fabbrica di batterie spenderai una quota significativa del capitale dei tuoi investitori, creerai pochi posti di lavoro e, se la fai in Europa, non hai nessuna garanzia che questo basti ad essere competitivo sul mercato globale…