BATTERIE

L’insospettabile PET: la plastica “imputata” per l’autoscarica nelle batterie

La canadese Dalhousie University fa luce sulla molecola DMT responsabile del fenomeno “navetta redox”: fa perdere energia alle celle, scatenata da comunissima plastica

La ricerca non sonda esclusivamente misteri accessibili agli esperti, ma è spesso la chiave per capire i meccanismi di eventi che tutti abbiamo sperimentato, quando ci sono di mezzo fenomeni legati alla fisica o alla chimica.

Uno di quelli che è probabilmente capitato a chiunque usi un computer o uno smartphone, è quello di metterli da parte, ad esempio per le ferie, e scoprire al momento di riaccenderli che hanno perso una parte della loro carica durante e malgrado l’inattività.

Si tratta del ben noto fenomeno chiamato autoscarica che i settori dell’elettronica e delle batterie indagano da tempo per capire perché celle agli ioni di litio lasciate al 100% del loro contenuto energetico tendano a perdere parte della loro carica nel corso del tempo.

La canadese Dalhousie University è un polo di innovazione ben noto nel settore delle batterie, specialmente per la presenza del professor Jeff Dahn, uno dei punti di riferimento della ricerca a lungo termine su cui contano specialmente in Tesla.

Un altro dei ricercatori che lavorano a Dalhousie ha identificato un fattore” fortemente indiziato di influenzare il fenomeno dell’autoscarica. Una causa sorprendentemente banale che, una volta che ad essa sia posto rimedio, potrebbe consentire di affrontare quello che è un problema di settore su larga scala.

“Nelle celle delle batterie commerciali c’è nastro adesivo che tiene insieme i bordi degli elettrodi e c’è una decomposizione chimica di questo nastro, che crea una molecola che porta all’autoscarica”, afferma Michael Metzger, che ad Halifax occupa la cattedra Herzberg-Dahn al Dipartimento di Fisica e Scienze Atmosferiche.

“Nel nostro laboratorio facciamo molti esperimenti altamente complessi per migliorare le batterie, ma questa volta abbiamo scoperto una cosa molto semplice: è in ogni bottiglia di plastica e nessuno avrebbe pensato che il PET avesse un impatto così enorme su come si degradano le celle agli ioni di litio”.

Dalle ricerche sono già nati due paper freschi freschi firmati da Metzger, Sebastian Buechele ed altri ricercatori: entrambi open access, sono stati pubblicati in questi giorni sul Journal of The Electrochemical Society coi titoli “Reversible Self-discharge of LFP/Graphite and NMC811/Graphite Cells Originating from Redox Shuttle Generation” e “Identification of Redox Shuttle Generated in LFP/Graphite and NMC811/Graphite Cells”.

Metzger e colleghi volevano capire perché le celle delle batterie agli ioni di litio si autoscaricano, qualcosa che accomuna prodotti anche con chimica del catodo differente quanto quelle ternarie NMC e quelle a base ferrosa LFP.

Come parte della loro ricerca, hanno aperto diverse celle dopo averle esposte a varie temperature. Sono rimasti sbalorditi nel vedere che in certe condizioni una soluzione elettrolitica nella cella era rosso vivo, qualcosa che non avevano mai visto prima.

Hanno quindi iniziato a esplorarne le cause posizionando celle con soluzione elettrolitica commerciale in forni a quattro diverse temperature. Uno a 25° è rimasto chiaro, il campione a 55° era marrone chiaro e quello a 70° praticamente color sangue, indizio di meccanismi-navetta attivi, come si vede nelle immagini di apertura negli elettroliti di celle NMC ed LFP negli angoli in alto a destra.

Hanno analizzato ed esaminato la composizione chimica dell’elettrolita, accertando che il polietilene tereftalato, che tutti chiamiamo PET, è in contatto diretto col comune liquido elettrolitico basato sui carbonati; il nastro si decompone creando la molecola DMT (dimethyl terephthalate) che porta all’autoscarica potenziando un fenomeno già identificato da vari studi precedenti e definito come “navetta redox”.

La molecola DMT opera in un meccanismo che la fa viaggiare verso l’elettrodo positivo, poi verso quello negativo e poi di nuovo ritornare al primo. La sua spola tra gli elettrodi consuma energia, qualcosa che dovrebbe essere delegato al solo litio. Ma al contrario del meccanismo di carica-scarica affidato agli ioni del metallo bianco, la molecola-shuttle interviene nell’ombra in modo autonomo, anche quando il litio se ne sta tranquillo nella cella inutilizzata.

Le scoperte del gruppo di ricerca canadese hanno confermato risultati precedenti che indicavano una maggiore esposizione al fenomeno delle celle LFP rispetto a quelle NMC e anche che l’autoscarica è fortemente correlata con la temperatura di formazione, che è inferiore quando c’è la presenza del sale LiFSI e che tende a venire soppressa nelle celle in cui si usa carbonato di vinilene (VC) come additivo elettrolitico per facilitare la formazione di SEI sull’elettrodo.

“È qualcosa che non ci saremmo mai aspettati perché nessuno guarda questi componenti inattivi, questi nastri e fogli di plastica nella cella della batteria, ma deve davvero essere considerato se si vogliono limitare le reazioni collaterali nella cella”, dice lo scienziato degli effetti del nastro in PET, plastica ampiamente utilizzata negli imballaggi, inclusi quelli per usi alimentari.

Ora i ricercatori vogliono attirare l’attenzione dei grandi gruppi delle batterie, dell’elettronica e dell’auto sulla ricerca di modi per migliorare l’efficienza delle loro celle. Su scala globale si può immaginare che la quotidiana perdita di energia capillare da laptop, smartphone, veicoli elettrici crei un conto totale da far mettere le mani nei capelli quanto a risorse sprecate; in modo non dissimile da altre risorse preziose come l’acqua che se ne va nelle perdite di infrastrutture colabrodo.

Metzger ha recentemente visitato un’azienda negli Stati Uniti che lavora nel settore delle batterie, e ha cercato informazioni sugli effetti della presenza di nastro in PET dopo aver avuto notizia della scoperta effettuata dal gruppo della Dalhousie University, perché considerano quella dell’autoscarica una metrica super importante.

“Uno degli ingegneri ha detto: ‘Ho sentito che avete scoperto che c’è qualcosa che non va nel nastro PET’. Così gli ho spiegato che sta causando questa autoscarica e gli ho chiesto: ‘cosa stai usando nelle tue batterie?’ Ha detto: ‘nastro PET’, ha spiegato Metzger.

Dati ed informazioni raccolte potrebbero portare a rimediare al problema, probabilmente con la sostituzione del PET con un materiale più stabile che non sia soggetto a una decomposizione non calcolata a contatto con l’elettrolita. Per lo scienziato tedesco “è una scoperta commercialmente rilevante. È una piccola cosa, ma può sicuramente aiutare a migliorare le celle della batteria”.

Credito foto di apertura: Sebastian Buechele et al 2023 J. Electrochem. Soc. 170 010511