AUTOMAZIONE

Il «rasoio di Occam» applicato alla ricarica ultra-veloce delle batterie

Studio nato da università di Stanford, MIT e Toyota Research Institute taglia da 500 a 16 giorni la fase di test, usando modellazione predittiva ed algoritmo di ottimizzazione bayesiana

Circa un anno fa, su AUTO21 potevate trovare la notizia di una ricerca svolta in collaborazione tra MIT, università di Stanford e Toyota Research Institute. Lo studio aveva messo a punto una soluzione efficace per predire la vita utile di una batteria già dai suoi primi cicli di carica e scarica.

Quel gruppetto di ricercatori da allora non si è fermato, anzi. Si è allargato in numero e in obiettivi, e ha pubblicato su Nature un nuovo studio in cui ha messo alla prova tecnologie di intelligenza artificiale sui test relativi alla ricarica ultra-fast delle batterie.

Con alla guida due docenti di Stanford, Stefano Ermon e William Chueh, stavolta si è messo al lavoro per identificare soluzioni in grado di massimizzare l’efficienza dei test in grado di identificare celle che consentano ricariche rapide quanto i tempi di rifornimento da una pompa di carburante. Ma senza degradarsi rapidamente dopo pochi cicli di ricarica.

Nei test per arrivare a questi livelli di prestazioni, un collo di bottiglia è sempre stato il processo di valutazione: mesi nei casi migliori o anni nei peggiori. Il metodo di valutazione di Ermon e Chueh basato su machine learning è in grado di tagliare la durata della fase di test fino al 98%.

Questo comporta una vigorosa accelerata sugli effetti pratici della ricerca sulle batterie adatte alla ricarica ultra-veloce e anche ricadute sullo sviluppo complessivo della tecnologia delle celle.

“Nei test delle batterie si devono mettere alla prova una ragguardevole quantità di cose, perché la performance che si ottiene varierà in misura drastica”, ha detto Ermon, Assistente alla facoltà di Informatica di Stanford. “Con l’AI siamo in grado di identificare rapidamente gli approcci più promettenti e di scartare una quantità di esperimenti non necessari”.

Nella progettazione di celle in grado di sopportare adeguatamente ricariche ultra-veloci, identificare i corretti metodi di immissione dell’energia è fondamentale e uno dei segreti industriali più ambiti dalle case che sviluppano batterie e auto elettriche.

I ricercatori di Stanford, MIT e Toyota Research Institute si erano prefissi di trovare il miglior protocollo di ricarica da dieci minuti in grado di massimizzare la vita totale della batteria. Hanno quindi compilato un programma che già dopo pochi cicli di ricarica (come quello della primavera 2019) fosse in grado di arrivare a predizioni su come avrebbero risposto le batterie a diversi protocolli.

Il software è stato anche in grado di scartare molto rapidamente soluzioni identificate come non pratiche per orientarsi verso quelle più pratiche. Riducendo sia lunghezza sia numero totale dei tentativi, la fase di test è stata accorciata così da circa due anni a soli 16 giorni.

“Abbiamo capito come accelerare notevolmente il processo di test per la ricarica ultra-veloce”, ha detto Peter Attia, uno dei co-autori. “Quello che ci ha davvero entusiasmato, però, è il metodo. Possiamo applicare questo approccio a molti altri problemi che, al momento attuale, ritardano lo sviluppo delle batterie per mesi o anni”.

Due i pilastri del metodo elaborato: modellazione predittiva, per ridurre il tempo di ogni esperimento prevedendo il ciclo finale di vita usando i dati dei primi cicli di ricarica, e un algoritmo di ottimizzazione bayesiana, per ridurre il numero di esperimenti equilibrando esplorazione e utilizzo per mettere alla prova lo spazio dei parametri nei protocolli.

Il team di ricerca contando sulla velocità di elaborazione dell’AI ha in pratica condensato in pochi giorni un processo di prova ed errore che nella realtà i ricercatori tendono ad evitare perché costoso e lungo se effettuato con metodi convenzionali.

“Il machine learning si basa sul trial-and-error, ma in un modo molto più intelligente”, ha detto al blog dell’università di Stanford Aditya Grover, ricercatore di Informatica che ha partecipato alla ricerca. “I computer sono molto meglio di noi nel capire cosa esplorare, provare approcci nuovi e differenti, e quando utilizzare o concentrarsi su quelli più promettenti”.

Come accennato, nello studio dell’anno scorso era emerso come il machine learning fosse in grado di identificare gli schemi che portavano a problemi alle batterie dopo pochi tentativi. Nel caso della nuova ricerca i programmi hanno rapidamente saputo circoscrivere i metodi di ricarica ultra-veloce da sottoporre a test.

Eseguendo test su meno metodi e per meno cicli, gli autori sono rapidamente arrivati a trovare tra 224 candidati un protocollo di ricarica ultra-fast adeguato alla loro cella. In questo caso una diffusa cella cilindrica 18650 prodotta dalla società specializzata A123. Tesla usa per Model S e Model X questo stesso formato, ma come noto le celle sono prodotte insieme a Panasonic.

Il risultato è stato un metodo più semplice ma anche meno convenzionale di quello che ci si poteva attendere. Un successo della semplicità che è un esito non inatteso dove ci sono di mezzo scienza e tecnologia, che non di rado seguono il principio del rasoio di Occam.

“Ci ha fornito questo protocollo di ricarica sorprendentemente semplice, una cosa che non ci aspettavamo”, ha confermato Ermon, uno specialista uscito dalle file dell’università di Padova. “Questa è la differenza tra un essere umano e una macchina: la macchina non è influenzata come l’intuizione umana, che è poderosa ma qualche volta porta fuori strada”.

Secondo i ricercatori l’approccio sarà in grado di accelerare quasi ogni stadio dello sviluppo del settore: dalle chimiche utilizzate nelle celle alla loro forma e dimensione.

I progressi non saranno ovviamente limitati alle batterie destinati ai trasporti, ma a tutti i settori a cominciare dagli impianti di accumulo necessari a rendere l’energia rinnovabile più efficiente ed ubiqua, accelerando la sostenibilità economica del settore oltre a quella ambientale.

Secondo un altro co-autore, Patrick Herring del Toyota Research Institute: “questo è un nuovo modo di fare lo sviluppo delle batterie. Avere dati che puoi condividere tra un grande numero di persone nell’università e nell’industria, e che sia automaticamente analizzato, rende l’innovazione molto più veloce”.

“La speranza più grande è di aiutare lo stesso processo della scoperta scientifica”, ha aggiunto Ermon. “Ci chiediamo: possiamo mettere a punto questi metodi perché generino automaticamente ipotesi? Possono aiutarci a produrre conoscenza che agli esseri umani non sarebbe possibile? Man mano creiamo algoritmi sempre migliori, speriamo che l’intero processo della scoperta scientifica possa drasticamente accelerare”.

Credito foto di apertura: screenshot video YouTube Toyota Research Institute