La auto a guida autonoma di Marchionne in bilico tra piste-prova e città
FCA userà il nuovo centro prove di Rovereto creato dal Polo trentino della Meccatronica per sviluppare nuovi sistemi, ma ci sarà da rincorrere…
La settimana che sta terminando è stata caratterizzata dallo spazio che è stato dato alla bocciatura (interessata) dell’auto elettrica da parte di Sergio Marchionne. È però curioso che non sia stata data altrettanta enfasi al convinto sostegno che l’amministratore delegato di Fiat Chrysler Automobiles ha invece mostrato verso la tecnologia della guida autonoma.
In effetti, considerando che nel settore dell’elettrificazione FCA è molto indietro, mentre sull’autonomia ha già avviato rapporti promettenti sia con Waymo (la società che sviluppa la Google-car) sia con il partenariato tra Intel/Mobileye e BMW, l’appoggio è certamente altrettanto interessato della bocciatura delle batterie.
Messe a fuoco queste premesse, non sorprende che FCA inizi finalmente a lavorare sulle tecnologie della mobilità del futuro anche in Italia. Il che, più precisamente, avverrà su una nuova pista di prova che dovrebbe essere pronta a metà del 2018 a Rovereto, dove ha sede quel Polo della Meccatronica che ha appena conferito la laurea honoris causa al manager italo-canadese.
Un accordo con Trentino Sviluppo renderà possibile questo progetto su un terreno di circa 15.000 metri quadri e con un investimento dell’ordine di €600.000. Che in Italia ci sia ora, oltre allo sparso impegno di alcuni centri accademici, anche un polo attorno al quale far crescere le tecnologie dell’autonomia è un fatto positivo.
Vale quindi la pena di approfondire le caratteristiche con cui il centro prove di Rovereto è nato: si tratta di un tracciato che punterà ad agevolare la ricerca e lo sviluppo dei sistemi mettendoli alla prova in contesti urbani.
Il perché della scelta lo ha spiegato in modo cristallino il collega Andrea Frollà in questo post: “Sarà simulato un contesto urbano, perché presenta un maggior numero di variabili capaci di influenzare lo scorrimento viario rispetto a quello autostradale: la presenza di ostacoli, pedoni, animali, incroci, rotatorie, piste ciclabili, semafori, segnaletica stradale, richiede infatti un’adeguata validazione delle tecnologie coinvolte“.
La più celebre e più apprezzata pista di prova del mondo in questo settore è stata realizzata da un’altra istituzione accademica: MCity, circa 65.000 mq che sono frutto del lavoro di quella Michigan University che è tradizionale fucina degli staff delle aziende di Detroit.
E che, infatti, usano intensivamente la struttura, che simula anch’essa ambienti urbani (ma anche suburbani, viste le caratteristiche del traffico americano). Se si visita però il sito di MCity, salta agli occhi un aspetto che lo stesso centro sottolinea: “Designed for Early Stage Research and Development”. La pista è orientata a favorire lo sviluppo e la ricerca nelle sue fasi iniziali.
FCA è notoriamente all’inseguimento di chi nel settore è leader: Waymo e Nvidia, ma anche General Motors e Tesla. Così, se il centro prove di Rovereto è destinato ad essere un polo in cui mettere a punto sistemi nella fase iniziale del loro sviluppo potrebbe essere esattamente quello di cui l’azienda italo-americana in questa fase ha più bisogno. Altro è se si volesse interpretare l’esistenza di un centro di prova per la guida autonoma come un “vestito” buono per tutte le stagioni.
Per capire perché è utile leggersi il post pubblicato (neanche a farlo apposta a poche ore di distanza dalla tirata di Marchionne) da Kyle Vogt, il fondatore di quella Cruise Automation che sta facendo fare passi da gigante nella corsa alla piena guida autonoma a General Motors. Un gruppo che ormai si è messo a correre così forte da aver raddoppiato la flotta di Chevrolet Bolt autonome messe alla prova su strade pubbliche da una cinquantina a un centinaio.
Mentre FCA svilupperà i sistemi in ambienti chiusi al traffico, GM ha già un centinaio di Bolt autonome a San Francisco: perché il traffico delle città accelera la velocità di perfezionamento dei software
E Vogt ha deciso di chiarire che i sistemi per la guida autonoma per avere successo devono scalare i loro 8.000 metri: le città più difficili. Infatti il post si chiama “Why Testing Self-driving Cars in San Francisco Is Challenging But Necessary”.
MCity, o un giorno Rovereto, sono stati gradini importanti per mettere a punto i sistemi. Ma in una città caotica come quella californiana le Bolt di Cruise Automation incontrano situazioni complesse e talvolta assurde fino a 46 volte più sovente che in altri posti in cui i veicoli a guida autonoma sono testati.
Vogt fornisce anche una tabella che riassume quante volte una manovra avvenga ogni 1.000 miglia (1.609 km) di test a San Francisco rispetto ai sobborghi dell’Arizona dove pure le Bolt sono testate: presenza di ambulanze o auto della polizia 46,6 volte più spesso. Presenza di cantieri edili temporanei o riparazioni stradali di emergenza: 39,4 volte più spesso. Necessità di spostarsi sulla corsia opposte: 24,3 più frequenti.
Perciò i test su strade pubbliche in città come San Francisco sono il percorso più veloce verso l’obiettivo di schierare auto senza conducente su scala commerciale, rispetto al partire dai test con le condizioni più agevoli. Secondo Vogt un software che parte dall’affinamento nei sobborghi (e sembra di capire anche in un centro prove chiuso al pubblico) per avere successo a San Francisco deve essere quasi rivoltato da cima a fondo.
Il provare in aree densamente popolate espone i software a situazioni insolite in dosi molto più alte, il che accelera la velocità di perfezionamento dei sistemi. Considerata la densità di San Francisco, circa cinque volte quella di un sobborgo dell’Arizona, il sistema di un veicolo deve calcolare (predire) circa 32 volte le possibili interazioni rispetto a quelle di una zona meno trafficata.
Le valutazioni del fondatore di Cruise Automation ci ricordano che da un lato FCA e dall’altro chi sarà lavoro nel nuovo centro prove di Rovereto hanno di fronte una vera e proprio corsa ad inseguimento per recuperare il terreno perduto. Peraltro la lezione che arriva da San Francisco non è una sorta di campana a morto e neppure una previsione certa e scoraggiante di un investimento pubblico inutile.
Piuttosto sarà opportuno che da un centro prove non ci si attenda quello che non può dare. Potrà essere un impulso ad un settore che in Italia è tutto da costruire ma i progressi dei sistemi dell’autonomia hanno bisogno come visto di uscire dalle fabbriche o delle facoltà. In compenso è sperabile che la sua presenza faccia da hub per alcuni progetti e programmi che possano trasformarsi in startup e poi in aziende che cammineranno sulle loro gambe.
Non per essere ottimisti a tutti i costi, ma è esattamente quello che è auspicabile avvenga quando un centro prova e una università sono ben gestite: MCity, di cui speriamo Rovereto segua le tracce, ha appena accolto cinque startup nate nei suoi pressi e che hanno bisogno di mettere alla prova i loro progetti…