Un’estate di dazi per l’auto elettrica cinese in Europa
Dopo lo sbarramento alzato da Washington verso l’industria cinese, anche Bruxelles si appresta ad applicare dazi su ciò che arriva da Pechino, ma in questo caso forse incoraggerà la delocalizzazione delle BYD e Geely, piuttosto che chiudere la porta
Prima del periodo di ferie estive e poco dopo le elezioni continentali, l’Europa ha in mente di imporre dazi sulle auto elettriche prodotte in Cina. Dove l’abbiamo già sentito? Sì, è ciò che ha appena fatto Washington: l’amministrazione Biden ha deciso di portare dal 25% al 100% i dazi su prodotti cinesi per un valore stimato di $18 miliardi, nei quali per la verità le auto provenienti dall’Impero di Mezzo sono una presenza simbolica, dato che si tratta di Volvo S90 Recharge e di Polestar 2, prodotte in Cina per marchi svedesi, divisioni del gruppo Geely.
Al contrario di quanto era avvenuto nel 2018 con la precedente raffica di dazi in quel caso voluti dall’amministrazione Trump, la reazione di Pechino è stata più di irritazione che di indignazione. I dazi coprono settori che vanno dalle rinnovabili alla sanità e includono anche batterie e auto elettriche.
Non in ogni settore l’importanza è marginale come per i due modelli elettrici a marchio scandinavo. Ma è abbastanza chiaro che in settori come fotovoltaico o batterie lo spazio occupato dall’industria cinese sia dominante, e questo rende meno facile controbattere su quella che più che una guerra commerciale appare una reazione a rapporti di forza squilibrati.
Rapporti di forza che sono squilibrati anche là dove intende intervenire l’Unione Europea, come ha segnalato anche il commissario al Commercio di Bruxelles, Valdis Dombrovskis in una intervista alla testata Politico. L’idea di Bruxelles è di non aspettare ad applicare dazi su un settore nel quale la “fetta” cinese del mercato europeo è ancora limitata, perché sarebbe troppo tardi.
Quindi, è vero che ad esempio BYD in Germania vende appena 200 esemplari in un mercato che secondo gli ultimi dati ufficiali ne vale poco meno di 30.000 al mese, ma non bisogna perdere di vista che le case europee hanno finora contato sulla produzione cinese: nel primo trimestre 2024 su 92.600 veicoli elettrici importati dalla Cina 51.600 erano di marchi europei e solo 41.000 a marchio cinese.
Esistono think tank che ritengono che i dazi necessari a equilibrare il campo, evitando anche il ripetersi della partita persa nel fotovoltaico, possano arrivare al 55%, e ne abbiamo scritto recentemente. Ma realisticamente i dazi potrebbero aumentare dall’attuale 10% al 25-30% in Europa e questo andrebbe a toccare non solo marchi come MG (proprietà di SAIC Motor) o BYD, ma anche altre elettriche prodotte in Cina come Tesla Model 3, BMW IX3 e Dacia Spring.
E quindi anche incoraggiare i gruppi auto a rilocalizzare in Europa la produzione, come sembra aver intuito Stellantis che nel programma di produzione con il giovane partner asiatico Leapmotor intende assemblare modelli a costi contenuti nei suoi impianti del Vecchio Continente. Ma anche la stessa BYD, che fin da dicembre dello scorso anno ha scelto l’Ungheria come sede della sua prima fabbrica europea e valuta se portare a due il numero di Gigafactory che produrranno per la nostra area commerciale.
Ormai, secondo una maggioranza di protagonisti della politica, anche centristi come è il caso di Ursula von der Leyen o Emmanuel Macron, esiste il rischio di un’ondata di auto elettriche sovvenzionate da Pecino e quindi di una distorsione artificiale del mercato a svantaggio dei produttori occidentali.
Anche per questo è stata avviata un’indagine anti-sovvenzioni la cui scadenza è il prossimo 4 luglio. È verosimile che per quella data vengano annunciate misure provvisorie, anche tenendo conto del fatto che la Commissione si è lamentata del fatto che BYD, SAIC e Geely non abbiano dato risposte adeguate a domande sulla trasparenza dei sussidi o delle filiere.
Se i dazi all’importazione nell’UE sono attualmente pari al 10%, nella direzione opposta variano tra il 15 e il 20%, toccando però solo il segmento di lusso, come Ferrari o Porsche, dove il cartellino del prezzo di un veicolo non è il fattore determinante. Ma ci sono stati europei che non sono affatto d’accordo e le loro industrie ed amministratori delegati ancora meno, specialmente se si chiede a quelli dei marchi premium come BMW, Mercedes-Benz o Porsche.
Se la Francia è stata ed è la forza trainante dell’indagine anti-dumping della UE, oltre il Reno la Germania si pronuncia contro i nuovi dazi sia sul versante dell’industria che su quello della politica. è chiaro che cambia la prospettiva con il mercato degli interessati: i generalisti come Renault e Stellantis vendono auto elettriche nei Segmenti B e C, che sono più sensibili ai prezzi e ai sussidi. In questo caso è difficile non constatare che il timore della concorrenza cinesi non sia giustificato.
Ma in termini di commercio e produzione, la Germania è legata alla Cina da molto più tempo e più strettamente della Francia e se i marchi transalpini sono pressoché spariti da quel mercato le case premium e Volkswagen le studiano tutte per aggrapparsi alla speranza di tornare ai tempi d’oro, fino a quando la competizione con le nuove marche locali sia possibile. Un confronto commerciale è quindi un orizzonte tempestose per case auto tedesche e per gli altrettanto importanti fornitori della filiera, da Bosch a ZF.
L’esperto di mercato auto Matthias Schmidt ritiene che una quota del 25% o 30% sia plausibile, perché una analisi della banca d’affari svizzera banca UBS attribuisce alle auto elettriche cinesi un vantaggio in termini di costi di circa il 30%. Perciò con dazi in questo raggio di grandezza, l’Europa si limiterebbe a portare alla pari la sfida invece di agire in modo drastico. La concorrenza verrebbe ripristinata e le pratiche sleali compensate.
Quale che sia il valore dei dazi europei della prossima estate, l’obiettivo raggiunto sarà lo stesso delle politiche cinesi o di misure protezionistiche come l’Inflation Reduction Act americano. Ridurre la dipendenza strategica da altri paesi e contemporaneamente obbligare le case a produrre auto elettriche e la loro filiera là dove vengono vendute, arrivando con i veicoli BEV e affini a una sorta di “chilometro zero” di fatto se non normativamante.
Non un collasso del commercio tra Cina ed Europa è quindi il risultato più probabile, ma l’insediamento di altra capacità produttiva vicino alla clientela. Come il caso di BYD vale lo stesso per altri già presenti come CATL che costruisce batterie in Turingia oppure la già nominata Volvo che costruirà presto la già bene accolta “piccola” EX30 in Belgio, piuttosto che in Cina.