Quante elettriche mancheranno sulle strade tedesche nel 2030?
Dovendo improvvisamente fare a meno di cospicui fondi federali, anche la Germania, prima economia europea, sembra destinata ad avere il fiato corto inseguendo obiettivi ambiziosi per la sua mobilità
Il caos creato dall’Alta Corte di Karlsruhe che ha bocciato il bilancio federale tedesco, avrà probabili ripercussioni anche sui molti programmi nazionali che prevedono sussidi ed incentivi. In altre parole potrebbe ridursi anche la liquidità che l’agenzia federale BAFA gira agli automobilisti per acquistare veicoli a zero emissioni, in gran parte elettrici e in minima veicoli fuel cell.
Con la decisione di non ammettere la riallocazione di €60 miliardi verso iniziative sul clima e l’industria si è creata una profonda incertezza che riguarda non solo i programmi di finanziamento per la mobilità ma anche in generale quelli per clima e transizione, o KTF, del governo di Berlino.
La cosa più scontata è che non saranno assunti ulteriori impegni, e lunedì il governo rivedrà (secondo logica al ribasso) l’obiettivo stilato dalla strategia della coalizione giallo-rossoverde di portare ben 15 milioni di auto elettriche sulle strade tedesche entro fine decennio.
Un obiettivo che la coalizione “semaforo” si era posta con chiarezza per il 2030, ma parimenti un obiettivo estremamente ambizioso anche per quello che è già diventato il mercato leader per la mobilità elettrica. In effetti sono ormai mesi che gli attori del settore riconoscono che sia stato fissato troppo in alto dall’accordo di coalizione.
Con circa tre milioni di auto immatricolate ogni anno, la percentuale di auto elettriche dovrebbe al più presto raggiungere il 90% per raggiungere l’obiettivo fissato per il 2030, quando il mese scorso aveva sfiorato il 25%, se si considerano sia elettriche pure sia ibride plug-in, escluse le ibride convenzionali e mild.
“Con l’attuale status quo, non sarà possibile raggiungere 15 milioni di auto elettriche entro il 2030”, aveva dichiarato Kurt Sigl, presidente dell’Associazione tedesca per la mobilità elettrica, alcuni mesi prima della sentenza di Karlsruhe.
Sotto la guida del controverso ministro dei trasporti Volker Wissing (che appartiene al partito pro-business FDP) gli esperti, prima della stretta al bilancio che ci si attende con la bocciatura dei conti del governo del “semaforo”, avevano ipotizzato che al massimo undici milioni di auto elettriche sarebbero scese sulle strade tedesche, gli ottimisti 13 milioni. Secondo i dati aggiornati dalla motorizzazione KBA lo scorso ottobre viaggiavano nella repubblica federale 2,2 milioni di auto con motore elettrico, 1,3 milioni dei quali BEV.
Lunedì il cancelliere Olaf Scholz con industria auto e dell’energia, sindacati, e altre parti interessate dovrà venire a patti con la realtà. Con un certo grado di velleitarismo peraltro il portavoce del governo Steffen Hebenstreit ha detto in conferenza stampa ieri che l’obiettivo sarebbe ancora raggiungibile se le case auto producessero auto più accessibili e con maggiore autonomia.
L’autonomia cresce di qualche chilometro ad ogni restyling dei modelli di elettriche nelle varie gamme, ma per i modelli accessibili dalla Citroen E-C3 alla Renault Twingo occorre aspettare ancora, e soprattutto Volkswagen, attraverso il suo CEO Oliver Blume, appare ora più interessato a far quadrare in conti del gruppo che quelli delle famiglie tedesche, senza mettere poi tanta fretta al piano annunciato di produrre la versione stradale del già svelato concept Volkswagen ID2All.
In questo scenario a correre rischi sono da un lato la potenziale estensione dei bonus all’acquisto per i privati che scadono nel 2025 (quelli aziendali sono scaduti in estate), ma anche altri piani che riguardavano in particolare l’abbassare i prezzi dell’elettricità come proposto dalla confindustria dell’auto tedesca VDA che proponeva di ridurre la tassa sull’elettricità da due centesimi per kilowattora all’aliquota minima europea di 0,05 centesimi, e il continuare a premere sull’espansione dell’infrastruttura di ricarica.
La presidente dell’associazione tedesca Hildegard Müller, che ha spesso detto di considerare l’obiettivo del 2030 “molto ambizioso” rientra tra quelli che più hanno insistito sulle condizioni-quadro, che a suo parere includono un milione di punti di ricarica pubblici, laddove al 1 ottobre si sono raggiunti 113.112.
Secondo l’associazione di categoria BDEW c’è stato un aumento del numero di punti di ricarica del 30% da inizio anno e una crescita di un buon 40% della potenza di ricarica: da gennaio sono stati aggiunti 27.682 punti di ricarica pubblici e 1,5 GW di capacità installata. Il fatto che la capacità installata cresca più rapidamente del numero dei punti di ricarica è dovuto alla crescente attenzione di molti operatori verso le stazioni di ricarica veloce HPC.
E questo nonostante l’attività possa essere resa più complicata da costi e complessità extra tipiche della prima economia europea, e non legate a un costo del lavoro elevato. Infatti nell’altrettanto costosa e sindacalizzata Danimarca, in media aggiungere una colonnina a un parcheggio costa €2.000, tre volte meno che in Germania, ha fatto recentemente sapere il colosso dei parcheggi APCOA.
Anche per questo da qualche tempo alcune regioni e città hanno iniziato a prendere contromisure, come ad esempio fa il land del Baden-Wüerttemberg, per accelerare la realizzazione di punti di ricarica, mettendo a disposizione una sorta di “catasto” online delle strade nazionali e locali nelle quali saranno resi disponibili spazi per realizzare postazioni di ricarica pubblica nei tempi più brevi possibili e tagliando anche i costi.
Le vicissitudini del piano tedesco per la mobilità elettrica ci ricordano quanto sia complicato implementare un progetto con tanti componenti e potenziali esternalità. Senza dimenticare quanto sia difficile in generale stilare previsioni anche e specialmente per chi fa questo di mestiere.
I previsori infatti stilano obiettivi potenziali spesso prima che intervengano fattori che possono spostare notevolmente l’inerzia di un trend. Ad esempio, questo potrebbe essere il caso in America dell’approvazione della legge protezionistica IRA.
Peraltro prima che iniziassero a sentirsi i suoi primi effetti, le previsioni americane erano state abbastanza solide: la più affidabile forse a posteriori appare quella della società specializzata Wood Mackenzie, i cui esperti in piena pandemia ipotizzavano per il mercato americano 560.000 vendute nel 2021 e 860.000 lo scorso anno e una quota del 5%.
I dati ufficiosi per il 2022 riferiscono di 809.700 veicoli effettivamente venduti e di una fascia di mercato perfino superiore alla previsione, del 7,3%. Per quest’anno si prevede che le vendite di veicoli elettrici raggiungeranno una fetta record del 9% di tutti i veicoli passeggeri venduti negli Stati Uniti quest’anno, secondo Atlas Public Policy. Sarà la prima volta che più di 1 milione di veicoli elettrici saranno venduti negli Stati Uniti in un anno solare, raggiungendo probabilmente tra 1,3 milioni e 1,4 milioni di auto, prevede la società di ricerca.
Molto prima dell’IRA, più esattamente nell’autunno 2021, LMC Automotive prospettava per l’America a fine 2030 una quota del 30,1% del mercato del nuovo per i veicoli elettrici puri e un aggiuntivo 4,1% per i PHEV, per un totale di 34,2%; ancora più ottimista una società rivale, IHS Markit, con una stima complessiva tra BEV e PHEV del 40%.
Entrambe apparivano prediligere uno scenario favorevole ma, come detto, non tenevano conto dei crediti d’imposta varati a partire da agosto 2022. Una spinta di cui invece non potrà godere in Germania la coalizione che dovrà sbrogliare i nodi dei suoi piani per la mobilità elettrica senza il lubrificante indispensabile della liquidità.