OPINIONI

No alle elettriche “usa e getta”: l’Europa della riparabilità

Dal 2020 c’è un “Circular Economy Action Plan” che vuol cambiare come produciamo e consumiamo: per l’industria auto (e delle batterie) implica non solo riciclo, ma riparabilità (fin dal progetto)

E se il pacchetto legislativo più importante per la futura sostenibilità dei veicoli elettrici e di tutto il settore fosse proprio quello che finora è passato quasi inosservato? A Bruxelles e in alcune capitali del Vecchio Continente si dibatte e litiga di bando alle auto termiche nel 2035, di combustibili sintetici e bio-carburanti, e ultimamente anche di Euro 7.

Tuttavia, l’attenzione dovrebbe essere molto maggiore sui recenti progressi del “Circular Economy Action Plan” o CEAP, pubblicato originariamente l’11 marzo 2020 e il cui titolo iniziava così: “Cambiare il modo in cui produciamo e consumiamo”.

Proprio il contrario di quanto vorrebbe chi cerca di difendere vecchie rendite di posizione e si arrampica sugli specchi promuovendo tecnologie dalla dubbia efficienza e dai costi elevati pur di intestarsi una bandierina collocata su un effimero successo politico. Sono discussioni che andando al sodo, ovvero ai soldi e agli investimenti, annaspano dietro a un treno già partito.

Appena tre giorni fa in un convegno organizzato da Politico l’amministratore delegato Renault e N.1 ACEA Luca de Meo ha sottolineato che ormai nessuno in Europa investe più nella tecnologia del motore termico, ma solo nell’auto elettrica e, caso mai, nell’idrogeno.

Questo è anche il motivo per cui il suo gruppo sul motore termico si è già alleato coi cinesi, ovvero proprio quelli da cui alcuni politici europei vorrebbero salvarci rilanciando il motore termico…

Perché chi scrive si è fatto l’opinione che il CEAP sia importante per l’assetto futuro di auto elettrica e batterie alle nostre latitudini? Ci vuole un po’ di pazienza per collocare i pezzi di un puzzle così di rado apparso sotto i riflettori, e tornare a quell’11 marzo 2020.

Puntando all’obiettivo di garantire che le risorse utilizzate siano mantenute il più a lungo possibile nell’economia dell’UE, quel giorno la Commissione europea aveva adottato un nuovo piano d’azione per l’economia circolare come uno dei pilastri del Green Deal europeo, il programma per la crescita sostenibile dell’Europa a 27.

Prevedendo misure lungo l’intero ciclo di vita dei prodotti, il piano mira a rendere la nostra economia più adatta a un futuro verde, che rafforzi la competitività ma protegga nel contempo l’ambiente, sancendo anche nuovi diritti per i consumatori continentali.

Frans Timmermans, Vicepresidente esecutivo responsabile per il Green Deal europeo, affermava allora: “se vogliamo raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, preservare il nostro ambiente naturale e rafforzare la competitività della nostra economia, la nostra economia deve diventare pienamente circolare. Il nostro modello economico di oggi è ancora, per lo più, lineare: solo il 12% delle materie secondarie e delle risorse vengono reintrodotti nell’economia”.

L’urgenza di misure improntate all’economia circolare sono particolarmente chiare quando si tratta di batterie. Secondo i calcoli della società di consulenza Benchmark Mineral Intelligence, in una Tesla Model 3 con batterie a base ferrosa ci sono, secondo la capacità del pacco, tra i 21 e 45 chili di carbonato di litio. In un crossover Volkswagen ID4 oltre a un analogo contenuto di litio si trovano anche 40-60 chili di nichel e fino a 7,5 chili di cobalto, tutte materie prime di cui è urgente fissare una filiera del riciclo stabile e sicura.

Questo chiarisce meglio forse perché era stato ancora più drammatico all’epoca l’intervento di Virginijus Sinkevičius, Commissario responsabile per l’Ambiente, gli 0ceani e la Pesca: “esiste un solo pianeta Terra, eppure da qui al 2050 consumeremo risorse pari a tre pianeti. Il nuovo piano renderà la circolarità la norma nella nostra vita e accelererà la transizione verde della nostra economia”.

Nell’ottica di evitare gli sprechi sono stati quindi investiti con differenti tempistiche settori come imballaggi, plastica, tessili, costruzioni ed edilizia e anche l’evidente necessità di ridurre i rifiuti. La Commissione già allora aveva menzionato batterie e veicoli nell’elenco dei settori critici per il piano, con l’anticipazione di un quadro normativo per le batterie al fine di migliorarne la sostenibilità.

Da allora la linea temporale del dispiegarsi del CEAP è progredita fino ad arrivare il 22 marzo scorso a definire anche un altro indispensabile gradino. La Commissione aveva infatti esplicitamente scritto nel 2020 che i consumatori d’Europa avrebbero avuto accesso a informazioni attendibili su questioni come la riparabilità e la durabilità dei prodotti così da poter compiere scelte più sostenibili e beneficiare di un vero e proprio “diritto alla riparazione”.

Il 22 marzo la Commissione europea ha adottato una nuova proposta relativa a norme comuni che promuovono la riparazione dei beni, che permetterà risparmi per i consumatori e sosterrà gli obiettivi del Green Deal europeo riducendo, tra l’altro, i rifiuti.

La proposta della Commissione dovrà essere approvata dal Parlamento europeo e dal Consiglio e, al contrario di quanto sta avvenendo col bando alle auto termiche, sembra inverosimile che ci siano sorprese nel bloccare una misura che favorisce tutti i consumatori e le loro tasche.

In effetti, come tutti sappiamo per esperienza diretta, negli ultimi decenni la sostituzione è stata spesso privilegiata rispetto alla riparazione in caso di difetti insorti nei prodotti e i consumatori d’Europa non sono stati sufficientemente incentivati alla riparabilità dei beni dopo la scadenza della garanzia legale.

La proposta di Bruxelles renderà più facile e più economico per i consumatori riparare anziché sostituire i beni. Inoltre una maggiore domanda stimolerà il settore della riparazione incentivando nel contempo i produttori e i venditori a sviluppare modelli di business più sostenibili.

L’Unione è già sulla buona strada in settori come l’elettronica di consumo: ad esempio quasi tutti ormai sanno che sta per rendere USB-C lo standard di ricarica comune di smartphone e altri device dopo che i legislatori continentiali hanno sostenuto una proposta per ridurre ulteriormente i rifiuti elettronici mobili lo scorso anno.

Le misure approvate sono importanti per l’auto elettrica in prospettiva perché in concomitanza col lavoro parallelo ma non ancora finito di Bruxelles sull’Eco Design, che in futuro obbligherà a progettare i beni commercializzati in Europa con ben chiari i potenziali di riparabilità e di riciclabilità.

Nelle stesse batterie, da tempo in Europa industria e ricerca (ad esempio con l’iniziativa Battery 2030+) sviluppano design di auto-riparabilità e progettazione che include la considerazione anche il fine vita delle celle.

Nella comunicazione ufficiale di questa settimana si leggono esplicitamente esempi come aspirapolveri o smartphone per i quali applicare la riparabilità in Europa sarà certamente più semplice. Ma apparirebbe un lavoro a metà lasciare fuori dal computo del programma i beni che costano, come le auto elettriche, 30 o 40 volte di più del più caro degli smartphone.

Insomma se così non fosse i consumatori sarebbero tutelati solo a metà. Se invece portata alle logiche conseguenze in tutti i settori inclusa la mobilità, si tratta di una tendenza che dovrebbe mettere la parola fine a una recente deriva che, lasciata a se stessa, non farebbe del bene alla diffusione dell’auto elettrica.

Infatti, mentre da una lato si assiste al meritorio pianificare veicoli dai prezzi più accessibili da parte di gruppi auto, come quello Volkswagen che in Spagna intende produrre tre milioni di veicoli attorno ai €25.000 ciascuno per i marchi VW, Skoda, SEAT e Cupra, dall’altro assistiamo a preoccupati allarmi di chi come gli assicuratori vede sempre più numerosi casi di sinistri con auto elettriche che si concludono con la rottamazione di veicoli che magari hanno pochi mesi di vita.

Quello che sta in effetti avvenendo, hanno sottolineato in particolare gruppi di assicuratori britannici è che in alcuni modelli di veicoli elettrici non c’è modo di riparare pacchi batteria anche leggermente danneggiati dopo sinistri, costringendo le compagnie di assicurazione a definire auto anche con pochi chilometri come da rottamare, e le loro batterie da avviare in siti come quello Volkswagen a Salzgitter (visibile nella foto di apertura).

Questo da un lato porta a premi assicurativi più alti e sarebbe un ostacolo concreto alla transizione. Alcuni gruppi auto come Ford e General Motors dichiarano la riparabilità dei pacchi batterie dei loro modelli, non tutti già in commercio in Europa.

Ma per altri non è così e Sandy Munro, esperto di auto e diventato noto anche come YouTuber per i suoi approfondimenti sulla tecnologia delle auto elettriche, ha dichiarato dopo aver smontato da cima a fondo una Tesla Model Y che la sua batteria non è riparabile.

La cosa paradossalmente sembra governata dalla voglia dei progettisti di contenere al massimo il cartellino del prezzo di una vettura nuova. Il che, ad esempio sulle Model Y che nascono in Texas ad Austin, ha portato a costruire esemplari alimentati dalle nuove celle cilindriche formato 4680 inserite in modo strutturale nel pianale ma da lì non rimovibili e di fatto soggette a una brutta fine anche per sinistri stradali che in passato si considererebbero minori, oltre che senza danni fisici, ma che rendono inutilizzabile quello che è il cuore dell’auto elettrica.

Per il momento in Europa non c’è alcun obbligo di legge di rendere una Tesla Model Y riparabile nel modo arcaico ma efficace in cui lo sono state una Fiat 500 o 600 degli Anni ’60, veicoli che avevano alimentato decine di appassionati del fai-da-te nei fine settimana.

Tuttavia la combinazione di piano CEAP da un lato e l’introduzione dell’Eco Design dall’altro, sarebbero da salutare col massimo entusiasmo da parte di consumatori ed automobilisti europei, come una spinta forte verso un’auto elettrica più alla portata di tutti. Non senza resistenze, c’è da attendersi, ma tutto sommato anche Apple non era poi così contenta di fare a meno dei suoi abituali alimentatori di iPhone e iPad

Credito foto di apertura: ufficio stampa Volkswagen AG