OPINIONI

L’auto stia attenta a non scottarsi col successo globale

Nemmeno chi guadagna molto come Volkswagen o Tesla, è al riparo dalle sorprese di un grande mercato (o del suo partito dominante); così piani diversificati, ritagliati su grandi regioni, diventano una necessità ed una assicurazione

Da decenni ormai i piani dei gruppi auto sono globali. Il che significa che le strategie elaborate da gruppi come Volkswagen, Stellantis o GM, o da marchi ormai universali come Tesla, continuano a prevedere scenari che sono un’indigestione di fusi orari e movimenti su grandi distanze, anche mentre la globalizzazione sta arretrando.

Ad esempio l’esordio fissato al prossimo settembre della Tesla Model Y in Europa conterà soprattutto sul contributo della produzione di Shanghai, per coprire il gap fino all’apertura del Brandeburgo che sarà ritardata alla fine dell’anno o all’inizio del 2022.

Ma sono proprio notizie che arrivano dalla Cina a mettere in questione ulteriormente le opportunità di contare con successo su quel paese a lungo termine per il sostegno industriale a una strategia globale e più in generale di puntare eccessivamente su un solo mercato o paese, per quanto grande e decisivo sia.

Non che l’ex-Regno di Mezzo stia pensando di de-industrializzare, ma certo contare in modo decisivo su impianti in quell’area assume col tempo una valenza di rischio assente uno o due lustri fa. Questo sta dando certo da riflettere agli amministratori delegati di ogni gruppo auto (e non) che punti al successo globale.

E questo a maggior ragione dopo episodi che hanno coinvolto alcuni dei marchi che sono diventati sinonimo di miracolo economico e tecnologico: come la stessa Tesla e Didi Chuxing. Per Didi, la Uber cinese che ha sloggiato la stessa azienda americana dalla Cina e così dominante nel settore dei taxi privati da rastrellare l’88% delle corse del ride hailing nell’ultimo trimestre 2020, così come per Tesla il problema pare essere il troppo successo.

Come dire che ai vertici di Pechino non piace che qualcuno o qualcosa diventi così grande e di successo da far dimenticare chi ha a quelle latitudini ha in mano il potere. Così di volta in in volta vengono sfruttate le debolezze o le criticità delle aziende troppo fortunate o troppo prospere.

Nel caso di Tesla si era trattato soprattutto della tradizionale sordità degli americani alle più comuni regole non scritte del customer care. Per Didi il fattore scatenante è stato l’eccesso di ingordigia nell’incamerare e gestire big data sulle abitudini e comportamenti dei cittadini, qualcosa che a Pechino (in particolare all’authority CAC (Cyberspace Administration of China) può stare bene se finisce sui server dell’esercito meno su un cloud privato.

Nel caso di Didi Chuxing la lezione non è ancora terminata e sta continuando, probabilmente anche per persuadere i grandi manager cinesi a evitare in futuro storie d’amore troppo impegnative col capitale e gli investitori esteri.

Per i gruppi auto occidentali o giapponesi, più che gli effetti della tempesta che sta colpendo Didi dopo aver avuto come bersaglio Jack Ma e i suoi investimenti nella fintech, gli appunti da studiare sono soprattutto quelli che riguardano la vicenda Tesla in Cina.

Poco più di un anno fa Elon Musk era così gradito ai vertici cinesi che la sua fabbrica di Shanghai è stata messa in grado di operare con sforzi eccezionali anche in piena pandemia, tanto da indurre poi il numero uno Tesla a perdere il senso delle proporzioni, andando oltre le righe quando in California le autorità lo avevano costretto a chiudere Fremont.

Ma uscire dall’aura protettiva dei vertici cinesi è pericoloso. Dopo le dimostrazioni di favore, Tesla ha sperimentato anche gli effetti di una campagna di riprovazione, che ha messo a confronto Musk & C. col rovescio della medaglia del fare business in Cina.

Un mondo nel quale finora si sono dimostrati particolarmente bravi i tedeschi. Ma, anche loro, senza avere garanzie assolute di successo. Lo dimostra un’esperienza recentissima del gruppo Volkswagen, che pure nel primo semestre ha annunciato un profitto operativo di circa €11 miliardi.

Se in Europa le elettriche ID3 e ID4 (oltre alla piccola E-Up!) consentono a Volkswagen di affermarsi come leader di mercato e negli Stati Uniti la ID4 nel primo semestre ha esordito subito con 5.756 immatricolazioni (rendendo felici i concessionari locali perché è il modello su cui guadagnano di più), in Cina invece l’accoglienza è stata tiepida.

Malgrado la famiglia di elettriche pure nate sulla piattaforma MEB sia costruita insieme a due partner storici come FAW e SAIC, lì sta risentendo della concorrenza dei modelli locali al 100% elettrici proposti dalle startup come NIO, Xpeng, Li Auto.

Come dire che fare piani globali diventa sempre più complesso e che scosse “politiche” da un lato e movimenti dei mercati dall’altro stanno imprimendo una ulteriore spinta verso un imminente futuro di macro-aree.

Una “carta geografica” che sembra consentire collaborazioni, ad esempio sulle piattaforme, ma che fa apparire evanescenti progetti basati sui grandi numeri, se quei numeri non prevedono che attorno al prodotto si ritagli un contenuto adatto a uno specifico mercato.

Credito foto di apertura: ufficio stampa Volkswagen AG