Batterie agli ioni di sodio anche a… 48 volt
La francese Tiamat Energy insieme al partner Plastic Omnium prova a portare le celle agli ioni di sodio sui veicoli ibridi, mentre le rivali Faradion e Natron Energy insistono sulle batterie per uso stazionario
I riflettori sulle attività nelle batterie di Volkswagen, Northvolt, LG Energy Solution e altri che fanno parlare questa settimana, non dovrebbero far scordare che oltre alla tecnologia agli ioni di litio predominante esistono alternative che, sulla scia dell’interesse crescente, sembrano beneficiare a loro volta del vento favorevole per i rispettivi progetti, anche se non comprendono Gigafactory…
La startup francese Tiamat Energy, ad esempio, ha appena raccolto nuovi fondi che le serviranno a portare dopo otto anni di ricerca e tre di test, le sue celle cilindriche agli ioni di sodio alla fase commerciale. L’azienda di Amiens, nata come spinoff dei centri ricerche CNRS e CEA, ha raccolto €3,5 milioni dai fondi Finovam e Picardie Investissement e €1,5 milioni da BPI France e da banche regionali.
Con quei fondi Tiamat potrà passare alla fase pratica insieme al primo partner industriale, la società della fornitura Plastic Omnium (attiva oltre che nell’automotive anche nell’idrogeno), per lanciare una campagna di test su pacchi batterie di piccole dimensioni destinati a clienti interessati all’uso in sistemi mild hybrid a 48 volt.
Le celle agli ioni di sodio hanno riscosso molto interesse negli ultimi anni per i bassi costi della materia prima rispetto a quelli utilizzati finora in abbondanza dalle batterie dominanti agli ioni di litio, oltre al litio stesso ad esempio cobalto e nichel.
La fase di sperimentazione dell’azienda guidata dal presidente Hervé Beuffe dovrebbe concludersi entro il 2023 e la produzione su scala commerciale avviarsi lo stesso anno per salire entro il 2030 a una capacità di 6GWh, tutt’altro che un volume irrisorio per quella che non è una tecnologia dominante come lo sono le attuali NCM o LFP.
Tiamat è convinta che non solo i costi, ma anche il potenziale di sicurezza strutturale della cella, così come la capacità di ricarica ultra-rapida senza il rischio di accorciare la vita della cella supporteranno la diffusione del prodotto, dopo la fase proof of concept.
La strada intrapresa dai francesi è particolarmente interessante perché si tratta della prima società che porta gli ioni di sodio nelle applicazioni veicolari (dopo esperimenti effettuati con successo su scooter e monopattini). Altrove, in America e nel Regno Unito si procede soprattutto in altri campi: in particolare negli impianti di accumulo.
L’inglese Faradion ha già trovato mercati dello storage interessati in Australia ed India per le sue celle agli ioni di sodio a basso costo e con densità di energia di 140 Wh/kg (a titolo di confronto: le celle 18650B Panasonic standard sulle Tesla Model S e X sono accreditate di 243 Wh/kg).
Dopo aver stretto rapporti di collaborazione sui materiali dell’anodo (l’hard carbon) con il gruppo americano dell’energia Phillips 66, Faradion ha recentemente firmato un accordo con l’azienda britannica AMTE Power che consentirà alla seconda di costruire su licenza e vendere celle agli ioni di sodio destinate all’uso stazionario nel proprio sito produttivo scozzese di Thurso.
Un’altra azienda che continua a suscitare interesse è Natron Energy, che dopo aver vinto i fondi stanziati da programmi della California Energy Commission in passato, lo scorso autunno ha ottenuto $19,9 milioni da DARPA-E sulle tecnologie alternative.
Alternativa in quanto estremamente longeva ed estremamente economica lo è di certo la tecnologia Natron, fondata e diretta da Colin Wessels e altri studenti di dottorato allora a Stanford (tra cui l’italiano Mauro Pasta ora ad Oxford) che ha puntato su catodi e anodi basati su analoghi del Blu di Prussia, il ben noto pigmento usato anche da colorifici e artisti. Hanno densità di energia ancora più basse rispetto alle celle fin qui viste, ma interessano per alcuni usi stazionari, come i data center, per i cicli di vita possibili: oltre 50.000.
La scorsa estate un team misto del Pacific Northwest National Laboratory e dell’università Washington State ha allargato ulteriormente le prospettive presentando uno studio su una nuova cella dalla capacità fino a ~190 mAh/g e densità di energia gravimetrica di ~160 Wh/kg, che nei test di laboratorio conservava l’80% della carica dopo 1.000 cicli.
Il lavoro, pubblicato sulla rivista scientifica ACS Energy Letters, suggerisce che altri miglioramenti siano possibili nell’ambito della tecnologia del sodio e che, sebbene non sia destinata a soppiantare presto nelle auto gli ioni di litio, in futuro l’energia che ricaricherà le celle dei veicoli non di rado proverrà da sistemi di accumulo di questa controparte.