Una startup da 45 GWh: Italvolt si presenta
C’è voluto un manager svedese, Lars Carlstrom, per osare il varo di un progetto di Gigafactory in Italia: ma i tempi delle batterie non consentiranno di assistere a “miracoli” fino a metà della decade
Nei giorni scorsi sono apparse sui quotidiani finanziari le prime notizie del progetto della startup Italvolt Spa, che a ruota si è decisa a rilasciare la prima comunicazione ufficiale in merito. È una azienda con sede a Milano ma che ha in mente di costruire una gigafactory di batterie in un sito ancora da specificare: forse in Piemonte, forse al Sud.
Per la scelta del sito è in corso una due diligence nella quale avrà un ruolo importante il fattore della disponibilità di energia rinnovabile per la manifattura delle celle, così come il supporto economico e soprattutto normativo locale. Per chi non avesse familiarità con l’industria delle batterie sottolineiamo che Tesla è un’eccezione nel settore, coi suoi tempi di lancio e di realizzazione di progetto molto brevi. Ma la fabbrica Tesla sorta a ritmo di carica a Shanghai ha iniziato producendo Model 3, non batterie.
Tutte le nuove realtà delle batterie a cui gli addetti ai lavori riconoscono “stoffa”, da ACC a Northvolt, hanno previsto nel migliore dei casi un quadriennio… olimpico per arrivare all’industrializzazione. Le batterie sono certo un punto cardine della futura mobilità ed industria sostenibile, ma richiedono normalmente tempi di sviluppo adatte alla pazienza dei giapponesi più che all’impazienza dei latini.
Nonostante tutto Italvolt non si è fatta intimorire da questo aspetto, e la comunicazione aziendale indica che prevede una capacità iniziale di produzione di circa 45 GWh, con la prima fase del progetto completata nella primavera del 2024. Questo livello farebbe del sito Italvolt una Gigafactory a tutti gli effetti, anche se distante dal primato di metà decade che spetterà con ogni probabilità a Tesla o LG Energy Solution.
Per confronto, il progetto complessivo delle due fabbriche in Germania e Francia di ACC (la joint venture Stellantis/Total) stima una capacità totale a regime di 48 GWh, le celle utili per circa 1.000.000 di vetture elettriche. In una fase successiva Italvolt ipotizza di poterla elevare fino a 70 GWh, non troppo distante dai 100 GWh del sito Tesla in costruzione attualmente in Brandeburgo.
A guidare Italvolt è il CEO svedese Lars Carlstrom: recentemente è stato tra i fondatori del progetto Britishvolt, che punta a creare a sua volta una Gigafactory in Northumbria. Nell’estremo nord inglese la fabbrica di Blyth sarà vicina al nuovo link che unisce Regno Unito e Norvegia portando energia elettrica degli impianti idroelettrici scandinavi o in alternativa avrà accesso agli impianti eolici scozzesi.
Il motivo per cui alle fabbriche di batterie come Britishvolt, Italvolt & C. preme la disponibilità di energia rinnovabile è semplice: tutte le case auto puntano a ridurre l’impronta delle loro emissioni a 360° e neli veicoli elettrici l’impatto maggiore è quello della manifattura di celle.
Avere energia rinnovabile ad alimentare la produzione riduce in modo drastico questo fattore negativo. Tanto è vero che perfino in Polonia o Ungheria, dove l’industria conta spesso su energia elettrica a basso costo alimentata dal carbone, i produttori coreani ivi presenti pretendono certificazione di energia verde dalle utility locali.
Parimenti il consorzio spagnolo di recente formazione Battchain (che intende tra l’altro creare una fabbrica di batterie solid state) prevede come propri siti produttivi Andalusia, Paesi Baschi, Extremadura e Navarra, tutte zone ad alta concentrazione di rinnovabili.
Italvolt ha in comune con l’iniziativa inglese anche un altro particolare, oltre al suo timoniere: come nel caso di Britishvolt a progettare il design della nuova fabbrica sarà la divisione specializzata dell’icona italiana dello stile Pininfarina.
Un’altra impresa italiana, Comau, specializzata come noto nella automazione industriale in particolare legata al settore automotive, fornirà da parte sua l’equipaggiamento legato alla produzione delle celle e sarà responsabile dell’avvio di un laboratorio che organizzerà la linea-pilota.
La collaborazione con l’azienda dell’ex-FCA è particolarmente interessante non solo perché apre un ovvio canale col gruppo Stellantis per quando la gamma prodotta in Italia richiederà celle verdi e che facciano poca distanza prima di arrivare alla linea di assemblaggio. Il Centro Competenze COMAU dedicato al settore batterie dallo scorso anno ha nel proprio organico come leader Carlo Novarese, che dopo aver fondato la startup Lithops come spinoff del Politecnico di Torino una volta acquisita da SERI si è occupato di avviare la fabbrica di Teverola che per ora è l’unica in Italia che abbia una capacità di produrre celle superiore al Gigawatt-ora. Quasi un matrimonio combinato in cielo per le ambizioni di COMAU nel settore e i progetti Italvolt.
Nella nota ufficiale si legge che “per la realizzazione di un progetto così sfidante, in termini di dimensioni e di sforzo ingegneristico, Lars Carlstrom ha scelto di puntare sull’Italia, paese riconosciuto a livello globale per la sua capacità di eccellere nel campo dell’innovazione della ricerca tecnologica e per il ruolo di leadership che l’Italia storicamente ricopre all’interno dell’industria automotive a livello globale.”
Fin qui la nota stampa: verificando il sempre utile strumento di LinkedIn (almeno nel caso di accademia ed imprese) la pagina Italvolt indica un organico attuale compreso tra 51 e 200 persone, mentre a regime si prevede un organico fino a 4.000 persone, senza contare i riflessi positivi sull’indotto. Quando Carlstrom seguiva più direttamente Britishvolt prima di lasciare repentinamente, l’azienda britannica si è segnalata per aver raccolto nelle figure apicali una buona rappresentanza di esperienza del mondo imprenditoriale ed accademico (che nel mondo delle batterie conta più che altrove). Si può sperare che questo approccio che valeva oltre la Manica non cambi alle latitudini del Mediterraneo.
Resta il capitolo finale degli investimenti. Una vecchia rule of the thumb indicava in circa $100 milioni il costo di una capacità di 1 GWh di celle. Il traguardo di 45 GWh richiederebbe investimenti compresi tra i 3 ed i 4 miliardi di euro.
In passato in alcuni progetti i partner industriali hanno anche partecipato al capitale, ma nessuno mai al livello richiesto dall’intero investimento. Sembra scontato che Carlstrom passerà molto tempo da un lato con un road show tra fondi di investimento ed analisti, mentre d’altro canto attenderà con impazienza il varo di un terzo progetto IPCEI (programma con aiuti di stato e grant di Bruxelles) sulle batterie, dopo che nel corso degli ultimi dodici mesi sono stati approvati i primi due.