L’Italia si muove per salire sull’Airbus dell’idrogeno
Secondo la Strategia Nazionale dell’Idrogeno con €10 miliardi di investimenti nel 2030 l’Italia raggiungerebbe il 2% di penetrazione nella domanda energetica finale
Sull’idrogeno l’Italia corre per mettersi in pari con chi ha già affinato piani nazionali: Francia e Germania anzitutto. Sono state rese pubbliche le linee guida della Strategia nazionale sull’idrogeno elaborata dal ministero dello Sviluppo Economico, miranti a mettere a fuoco i settori più favorevoli ad accogliere con successo questo vettore energetico nei prossimi lustri. Entro il 21 dicembre 2020 le parti interessate potranno partecipare con contributi od obiezioni che migliorino l’efficacia delle linee guida.
Letteralmente nelle stesse ore in cui a Roma venivano annunciate linee guida e consultazione pubblica, da Berlino il ministro dell’Economia Peter Altmaier, in una sessione con il Commissario dell’Unione Europea Thierry Breton e altri rappresentanti dei dicasteri economici continentali, sosteneva che la cooperazione europea sulle batterie (che ha ormai avviato i primi progetti per farsi largo su scala globale) dovrebbe essere ripetuta in settori industriali di cui la transizione verso la sostenibilità necessita, indicando quindi il favore tedesco al varo di “Airbus dell’idrogeno”. Come nel caso delle batterie, il trasporto aereo c’entrerà solo fino a un certo punto: quello che conta è il concetto di collaborazione trasversale tra ricerca avanzata, industria, istituzioni continentali.
Questo indica che Bruxelles potrebbe applicare nel prossimo futuro anche ai piani industriali nazionali e internazionali riguardanti il settore idrogeno lo schema IPCEI, ovvero definire il lavoro di sviluppo ed industrializzazione ad esso collegato di interesse prioritario, agevolando quindi la possibilità di incanalarvi aiuti di stato, oltre a quelli dei piani di rilancio collegati a crisi sanitaria e Green New Deal. Nelle linee guida alcuni spunti sembrano volersi sovrapporre questa impostazione complessiva di chi sta spingendo la Vecchia Europa verso il nuovo.
Allo stesso tempo la Strategia Nazionale sull’idrogeno va nella direzione del raggiungimento degli obiettivi nazionali fissati dal PNIEC 2019. Nella nota il ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli dichiara: “L’Italia è tra i primi paesi che hanno creduto nell’idrogeno come vettore energetico pulito del futuro, in grado di accelerare il processo di decarbonizzazione verso un modello di sviluppo ecosostenibile”.
“Questo ha permesso ai ricercatori e alle aziende italiane di acquisire un vantaggio in termini di capacità e conoscenze sull’idrogeno, che oggi consente al nostro paese di avere un ruolo centrale nella definizione dei piani europei di investimento previsti per lo sviluppo e l’implementazione della produzione e utilizzo dell’idrogeno”.
Le linee guida hanno uno sguardo proiettato al 2050 ma con obiettivi intermedi al 2030. Si legge nel testo: “sul breve termine, fino al 2030, l’idrogeno diventerà progressivamente competitivo in applicazioni selezionate (come chimica, mobilità, raffinazione petrolifera), consentendo lo sviluppo di un ecosistema nazionale dell’idrogeno, necessario per sfruttare appieno il potenziale dell’idrogeno sul lungo periodo.”
Guardando invece al 2050, l’idrogeno secondo la Strategia delineata “può supportare lo sforzo di decarbonizzazione insieme ad altre tecnologie a basse emissioni di carbonio, soprattutto nei settori “hard-to-abate” (come i processi di produzione ad alta intensità energetica o l’aviazione). Le linee guida ipotizzano circa il 2% di penetrazione dell’idrogeno nel consumo energetico finale entro il 2030 in particolare nel settore dei veicoli commerciali”.
Oggi il TCO, il rendiconto totale dei costi, non è ancora favorevole ai camion fuel cell. Molti gruppi però li stanno comunque sviluppando, perché convinti come chi ha steso la Strategia dell’idrogeno italiana che “il TCO dei camion a celle a combustibile potrà diventare competitivo rispetto ai camion diesel nei prossimi dieci anni, quando sia il costo dei veicoli che il prezzo dell’idrogeno saranno diminuiti”.
Certamente con una infrastruttura adeguata il vantaggio nella rapidità del rifornimento sarà un fattore dirimente per il settore logistico. Le linee guida suggeriscono quindi come sia possibile guardare agli interporti italiani come un esempio di luoghi dove già nei prossimi dieci anni potrebbe essere necessario soddisfare la domanda di idrogeno sia per camion che per treni.
Treni, perché quello ferroviario si rivela progressivamente un altro settore interessante per l’idrogeno: circa un terzo delle linee ferroviarie in Italia accoglie treni diesel. Nei prossimi dieci anni i treni fuel cell miglioreranno la competitività rispetto ai diesel, divenendo uno dei settori più promettenti in cui avviare lo sviluppo di un mercato nazionale dell’idrogeno.
Il testo suggerisce che le regioni con alto numero di treni diesel e passeggeri, come Sardegna, Sicilia e Piemonte siano le prime candidate alla transizione. In Lombardia nelle tratte regionali di Sebino ed Iseo i mezzi diesel di Trenord saranno sostituiti da treni a idrogeno Alstom Ilint, già sperimentati in Nord Europa e costruiti a Savigliano.
Il viceministro Stefano Buffagni ha commentato che “grazie a queste prime linee guida per la realizzazione della Strategia Nazionale Idrogeno, l’Italia si sta ritagliando un ruolo centrale in questa sfida, insieme con i Paesi europei maggiormente avanzati su questo tema. Il nostro Paese può sfruttare la sua posizione geografica, il suo solido know-how progettuale e scientifico e la sua rete infrastrutturale”.
La rete infrastrutturale a cui si riferisce il membro dell’esecutivo giallorosso è soprattutto quella del gas naturale. Il documento si spinge anche a ipotizzare percentuali di miscelazione in rete del combustibile: entro il 2030 potrà viaggiare nella rete infrastrutturale lungo la penisola anche il 2% di idrogeno verde. Prima di pensare in effetti ad applicazioni industriali (i primi esperimenti europei sono già partiti in vari ambiti energivori, incluso quello siderurgico) occorrerà in effetti un supporto infrastrutturale.
In questo panorama le linee guida sembrano anche un assist ai player italiani di settore, a cominciare da SNAM. Il gruppo delle infrastrutture energetiche nei giorni scorsi ha confermato che nel piano investimenti di €7,4 miliardi fino al 2024 è stata portata a €720 milioni la quota per la transizione energetica.
Oltre a collaborare a progetti ferroviari riguardanti l’idrogeno, SNAM prevede di aprire distributori in grado di erogarlo. E in linea con la pressione di regolatori ed istituzioni sull’impronta a basso contenuto di carbonio si attrezza anche per lavorare con idrogeno verde, piuttosto che quello ricavato da materie prime fossili. Così nei giorni scorsi ha investito nel 33% del capitale del gruppo italiano De Nora.
Una mossa che, si legge nella nota, “le consentirà di accrescere il posizionamento tecnologico per essere sempre più competitiva nei nuovi progetti per lo sviluppo dell’idrogeno. De Nora è attiva negli elettrolizzatori alcalini, complementari agli elettrolizzatori a membrana nei quali è specializzata ITM Power, società con cui Snam ha recentemente sottoscritto una partnership e sugli elettrolizzatori si basa la produzione di idrogeno verde”.
Il piano della Strategia implicherebbe circa €10 miliardi di investimenti nel prossimo decennio: di questi €5/7 miliardi destinati alla rete di distribuzione e consumo e €2/3 alla ricerca. Agli importi vanno aggiunte anche le risorse per espandere le fonti rinnovabili. Il beneficio diretto sarebbe un taglio di circa 8 Mton di emissioni clima-alteranti. E la creazione di oltre 200.000 posti di lavoro temporanei nei prossimi 10 anni e fino a 10.000 persone direttamente impegnate nella filiera a medio periodo.
Per soddisfare una domanda 2030 collocata a circa 0,7 Mton di idrogeno l’anno la Strategia studierà le condizioni più favorevoli ad assicurare la fattibilità della produzione e un basso costo della materia prima. Il livello di competitività per l’idrogeno verde secondo i maggiori esperti internazionali è collocato a circa $2 dollari al chilogrammo.
Le fonti immaginate per le 0,7 Mton sono tutte “verdi” e richiederebbero pertanto l’installazione di circa 5 GW di elettrolizzatori entro la fine del decennio. Da parte sua, come ha confermato il Forum europeo sull’idrogeno conclusosi ieri, l’Unione Europea intende mobilitare risorse e attori per installare almeno 6 GW di elettrolizzatori per l’idrogeno rinnovabile entro il 2024 e 40 GW entro il 2030.
In Italia, il governo non vuole precludersi altre opzioni, come l’eventualità di integrare la produzione nazionale di idrogeno verde con altre forme di idrogeno a basse emissioni di carbonio: ha in mente quello blu. Eventualità questa prevista anche da altri esecutivi europei, ma che ha ricevuto repliche ben poco entusiaste dalle ONG ambientaliste nazionali ed internazionali.