Sorpresa sulla Tesla Model 3: anche l’americana è predisposta per la tecnologia V2G
Un teardown effettuato su una Model 3 da un ingegnere messicano, ha rivelato che nel suo caricatore imbarcato è già previsto un inverter per trasformare la corrente continua in AC
I modelli più recenti della gamma Tesla, Model 3 e Model Y, sarebbero già dotati di dispositivi di ricarica bi-direzionale, ovvero l’hardware necessario a rendere di fatto un’auto elettrica un accumulatore in grado di integrarsi con la rete, secondo i protocolli della tecnologia V2G (Vehicle-to-Grid).
Finora la casa americana non era stata tra le aziende più interessate a partecipare allo sviluppo di questa tecnologia, appropriata per riportare in equilibrio la frequenza o per stabilizzare la rete per periodi di tempo più o meno lunghi.
Al contrario lo sono state fin dal 2010 case come Nissan, Mitsubishi o Renault, non solo partner nell’Alleanza franco-giapponese ma costruttori che hanno avuto o hanno ancora modelli dotati di prese giapponesi CHAdeMO, da anno già predisposte a operare con questa tecnologia.
La flotta Tesla come noto ha sempre preferito i suoi caricatori, anche se in Europa e in Cina ormai le Model 3 si sono adattate alla prese che vanno per la maggiore localmente.
Anni fa, quando la produzione di Fremont era dedicata solo ai modelli luxury sia Elon Musk sia il responsabile della tecnica JB Straubel (da alcuni mesi passati ad un ruolo meno di primo piano) avevano sottolineato come la tecnologia V2G per Tesla avrebbero potuto essere interessante solo con una flotta di dimensioni ben superiori a quella delle Model S e Model X che hanno messo Tesla sulla carta dell’automotive.
Come ha scritto il sito specializzato sulle gesta della casa californiana electrek Marco Antonio Gaxiola, un ingegnere messicano che a Hermosillo è titolare di una azienda che si occupa specificamente di veicoli elettrici, ha eseguito un’operazione di reverse engineering su una Model 3 versione americana scoprendo che il suo caricatore è già bi-direzionale.
Ovvero, se la corrente alternata che arriva dalla rete può essere convertita in DC per andare alle celle della batteria l’inverter di bordo può anche effettuare l’operazione contraria: da DC ad AC. E quindi rendere questo modello Tesla, e sembra anche la Model Y, adeguata a partecipare a progetti V2G.
Come altre case auto interessate, Tesla non sembrerebbe quindi più preoccupata degli effetti che il V2G potrebbe avere sulla vita utile delle celle, una delle principali preoccupazioni del passato.
Sembra probabile che per questo hardware ci sia in attesa un software, magari da trasferire come piace agli americani via etere, da inviare alla clientela al momento giusto, quando il momento di mettere in pratica la tecnologia secondo Tesla sarà arrivato.
Non sembra probabile peraltro che Tesla tenga molto a diventare un protagonista di primo piano nel V2G quanto lo sono FCA, che quando ha ripreso le attività dopo il lockdown tra i primi lavori che ha ripreso nell’impianto di Mirafiori ha inserito l’allestimento delle linee della 500 elettrica e la preparazione del progetto-pilota che ha avviato con Terna proprio sul V2G.
Sono passati solo due mesi invece da quando la casa più attiva finora nel V2G, Nissan, insieme a TenneT e The Mobility House ha completato un progetto-pilota biennale promosso dal ministero tedesco per l’Economia e l’Energia che ha visto alcune batterie di Leaf usati per lo stoccaggio di elettricità rinnovabile prodotta da impianti eolici nel Nord della Germania.
In Italia Leaf, finora l’unica vettura in commercio certificata V2G, si è sottoposta a varie fasi di sperimentazioni, dapprima presso l’Istituto Italiano di tecnologia a Genova e attualmente presso la sede milanese di RSE, la società pubblica di ricerca per il settore elettrico ed energetico.