MOBILITA

Consolidare o dimezzare? L’economia della condivisione al bivio

La crisi peggiora le prospettive di car sharing e ride-hailing, ma se dalle quattro si passa alle due ruote i segnali stanno cambiando, specie se le città faranno la loro parte

C’è stata un’epoca, vicina ma che appare oggi distante quanto il Paleolitico, in cui le startup della mobilità, da Uber a Didi, sembravano addirittura predestinate a soppiantare i gruppi dell’automobile, privandoli gradualmente ma inesorabilmente dei ricavi generati dalle vendite delle auto private.

Dato che quelle startup nascevano con alle spalle fiumi di dollari del venture capital, quello che piaceva agli investitori, secondo un istinto di gregge comprensibile, era un modello che capivano e speravano di replicare. Uber e Lyft sarebbero stati la nuova Apple, mentre FCA o Ford le nuove Foxconn.

Ma quello scenario aveva da tempo perso credibilità ed attrattiva e ancora di meno ne ha adesso che la pandemia sta portando a Uber e Lyft più ricavi attraverso le consegne di pasti che dalle corse dei pochi passeggeri rimasti.

Nel recente passato l’ipotesi di una futura “dittatura” dell’economia della condivisione tesa a dominare tutta la mobilità ha spinto quasi tutti i gruppi auto ad impegnarsi mobilitando investimenti, di solito sfortunati, in settori che avevano in comune la parola sharing. E lo stillicidio di affari e investimenti dall’esito sfavorevole continua.

Ieri è toccato a General Motors annunciare che Maven, un servizio di car sharing lanciato nel 2016 e mai davvero decollato sarà chiuso. Era stato sospeso quando sono iniziati i periodi di quarantena decisi nella maggior parte delle aree degli Stati Uniti.

La conclusione del percorso fin qui compiuto di Maven, che aveva anche tentato senza successo di allargare il campo all’offerta peer-to-peer, conferma le difficoltà del settore negli U.S.A.. La joint venture BMW-Daimler era uscita da quel mercato coi brand Share Now e Car2Go lo scorso dicembre, quando di crisi sanitarie all’orizzonte ancora non ce n’erano.

La pandemia e le incertezze sul futuro stanno senza dubbio riducendo drasticamente la tolleranza alle difficoltà di maturazione del settore da parte dei gruppi dell’auto che sono entrati nell’economia della condivisione, spingendo verso il consolidamento quello che si deciderà di non chiudere.

Col cambio di prospettiva che comporterà il modo di vivere post-Covid19, vendere auto private sia pure con le difficoltà dell’economia globale sembra un obiettivo meno irraggiungibile di convincere clienti a usare un’auto a noleggio, un mezzo forse usato molte volte in una stessa giornata.

E se è possibile convincere i clienti con sanificazioni costanti e frequenti, il modello originale di business di fronte a questi costi aggiuntivi di staff e materiali necessario potrebbe non reggere più.

Così non meraviglia che nei giorni scorsi Free Now, il brand BMW/Daimler nei servizi di taxi paralleli a quelli di noleggio a breve termine, abbia iniziato un reciso processo di ristrutturazione per ridurre i costi.

Alla riduzione dell’organico si affiancherà un consolidamento aziendale: Free Now si fonderà con Kapten, una app creata da una startup francese dello stesso settore.

Ma non necessariamente tutti i settori della sharing economy appaiono ugualmente in crisi. Quello che vale per le quattro ruote non vale più automaticamente se si… dimezzano le ruote e si guarda alle biciclette.

Il gruppo Meituan, noto anche in alcune città italiane come Milano e Firenze per aver lanciato il servizio condiviso Mobike, ha reso noto cosa è successo nel primo focolaio della pandemia: Wuhan.

Nella città cinese dallo scorso 8 aprile, giorno della fine della quarantena, il volume dei noleggi è salito del 44% rispetto a due giorni prima e del 70% rispetto alla settimana precedente. Qualcosa di simile è avvenuto anche alle concorrenti Didi ed hellobike.

Certo un risultato ottenuto rispetto ad una base di partenza bassa, visto lo stretto lockdown imposto localmente. Ma da allora la crescita giornaliera per Meituan è del 20%, un dato importante in un agglomerato urbano da oltre dieci milioni di persone.

Didi (per alcuni la Uber cinese) tramite la consociata attiva nel bike sharing DiDi Bike ha raccolto circa $1 miliardo di fondi che reinvestirà in un settore che, vista le prospettive economiche, appare contenere gli ingredienti per un potenziale secondo boom. Non solo in Cina, forse.

Ormai iniziano ad apparire i primi studi che inseriscono il trasporto pubblico locale (specie nella metro in aree come quella di New York) tra i maggiori veicoli di diffusione della pandemia.

Il rischio terrà impegnate molte risorse dei grandi centri urbani e anche di quelli medi e piccoli, per molti mesi. Nel frattempo per ridurre l’affollamento, le due ruote sono una soluzione disponibile pressoché in modo immediato.

Lo sono in generale via bici ed e-bike e, nei centri più grandi, anche attraverso i monopattini elettrici in condivisione, ammesso che le startup che li hanno supportati abbiano le spalle abbastanza larghe da superare l’apice della crisi.

Stanno già cominciando ad ammucchiarsi i dati aggiornati che segnalano questo fenomeno. In Svizzera uno studio in corso del Politecnico di Zurigo e dell’università di Basilea ha riscontrato secondo le campionature una crescita del 220% rispetto alla fase pre-Covid19, quando le altre modalità di trasporto calano del 50%.

In questa fase dimezzando le ruote può esserci un’opportunità di rilanciare una mobilità accessibile a tutti e, fattore non trascurabile, una soluzione di mobilità nella quale la manifattura italiana conta ancora qualcosa.

Pertanto c’è da sperare che l’interesse dimostrato da alcune città italiane all’ondata di aiuti concreti alle due ruote che molti sindaci del globo stanno cercando di navigare si trasformi in progetti concreti.

Come è diventato un progetto già in molti casi, chiudendo strade alle auto e lasciandole a pedoni e ciclisti, come avvenuto in California a Oakland, oppure abbassando i limiti e dando la priorità a persone e alle bici invece che ai veicoli a quattro ruote, fossero pure elettriche, come a Bruxelles.

Il periodo del prezzo minimo del barile di petrolio che non continua a non riflettersi sui prezzi alla pompa dovrebbe far capire definitivamente che la mobilità basata sui combustibili fossili non tornerà mai davvero accessibile a ogni tasca.

Al contrario continuerà a essere un fardello per chi dovrà servirsene per mancanza di alternative. Ma rifiutare agli altri cittadini soluzioni più accessibili e convenienti in questi tempi di emergenza sarebbe un attacco frontale al senso basilare e fondamentale di quello che è bene pubblico.

Credito foto di apertura: Micheile Henderson via Unsplash