AUTO

Ventilatori per gli ospedali, dagli impianti da cui uscivano auto elettriche (e non)

GM, Ford e ormai anche Tesla pronti a produrre ventilatori per fare fronte all’emergenza sanitaria: sarebbero le uniche linee aperte in fabbriche sempre più silenziose

Le conseguenze dell’emergenza sanitaria nei vari paesi si dispiegano sempre più rapidamente nelle varie aree del globo toccate, perfino più velocemente di quanto faccia la stessa pandemia. Se ci sono volute alcune settimane perché i casi di Covid-19 destassero allarme oltre Atlantico quanto già ne destavano in Europa e in Italia in particolare, sono bastate invece poche ore per accomunare decine di impianti di case automobilistiche nella sospensione della produzione.

In mezzo a questa frenata di emergenza che fa arrestare un pilastro della manifattura globale, in Nord America tre case auto da ieri stanno studiando la possibilità di imitare quanto fatto da aziende cinesi a partire dal momento in cui l’epicentro della crisi sanitaria era in Asia.

Se ad esempio BYD, specialista della mobilità elettrica, in poche settimane si è trasformato in un produttore di 6 milioni di mascherine chirurgiche al giorno e di centinaia di migliaia di litri di detergente, ora i vertici di GM, Ford e Tesla valutano la produzione di ventilatori. Il loro modo di aiutare ad uscire dalle strette del periodo.

A poche ore di distanza dalla decisione, concordata col maggior sindacato del settore UAW, di chiudere gli impianti per due settimane, si guarda ora alle pagine di storia risalenti alla riconversione industriale nella seconda guerra mondiale.

I manager di GM e Ford Motor Co. sono in contatto coi governi di Stati Uniti e Regno Unito riguardo alla possibilità di produrre ventilatori per aiutare gli ospedali a fronteggiare la potenziale crisi nelle unità di rianimazione di fronte a un afflusso fuori controllo di pazienti.

La prima a confermare questa intenzione, attraverso un portavoce, è stata Mary Barra per conto di GM, seguita a distanza di pochi minuti da Ford. Sebbene lo staff sia destinato a lasciare silenziosi i capannoni per due settimane, dipendenti potrebbero essere chiamati su base volontaria a collaborare alla manifattura di alcuni dei componenti più vitali in questa emergenza sanitaria, utilizzando spazio disponbile negli impianti.

Poche ore dopo è stata la volta di Elon Musk ad unirsi al gruppo di imprese di buona volontà. In uno scambio (che altro, trattandosi di Musk?) di tweet col capo redattore di FiveThirtyEight Nate Silver, l’imprenditore sudafricano ha confermato che le sue aziende produrranno ventilatori in caso di necessità.

E ha sottolineato come da un lato il know-how di Tesla (per gli impianti di condizionamento di bordo), ma soprattutto quello di SpaceX, che deve realizzare sistemi di sopravvivenza per gli equipaggi in grado di affrontare lo spazio, renderebbero tutto sommato agevole il compito di costruire ventilatori, anche se non realizzabile in poche ore.

Con questa promessa e adeguandosi alla posizione dei rivali di Detroit, Musk sta iniziando a recuperare una credibilità sul tema dell’emergenza sanitaria che finora non è certo stata paragonabile a quella che merita invece se gli argomenti in ballo sono, ad esempio, batterie o auto elettriche.

Non solo finora aveva minimizzato il problema. Fino a ieri (mercoledì 18) mentre GM, Ford ed FCA stavano compilando i calendari di chiusura degli impianti, Tesla aveva preso l’approccio opposto. La responsabile del personale Valerie Workman aveva inviato messaggi a tutto lo staff californiano incoraggiando chiunque fosse in buona salute a recarsi al lavoro.

Questo a dispetto dell’ordine di chiusura per tutte le attività non essenziali già emesso nell’area della Baia di San Francisco. Nella prima fabbrica Tesla che sorge a Fremont, un impianto rilevato da una joint-venture tra GM e Toyota, lavorano abitualmente circa 10.000 persone.

Nel corso della giornata di ieri l’Ufficio dello Sceriffo della contea di Alameda, da cui dipende la città di Fremont, è intervenuto per far rispettare l’ordinanza. Dopo una trattativa tra autorità e manager, alla fine l’azienda californiana taglierà le presenze nel sito a un quarto della forza lavoro limitandola a quella essenziale. Le linee di montaggio non andranno avanti ad assemblare auto.

Sembra che sia più fortunata rispetto a Fremont la Gigafactory 1, la colossale fabbrica di batterie, motori elettrici e componenti per l’energia rinnovabile che ha sede in Nevada.

Forse per la situazione sanitaria più tranquilla di quest’area (ma i casino di Las Vegas hanno comunque deciso di chiudere) l’Ufficio dello Sceriffo della contea di Storey ha confermato che la produzione potrà procedere. In questo caso l’autorità ha ritenuto quanto esce dalle linee di produzione, allestite in collaborazione con Panasonic, come beni essenziali.

N.B. aggiornamento del 20 marzo: anche Tesla si adeguerà alla chiusura temporanea totale dell’impianto di Fremont, a partire da lunedì 23 marzo. Sarà chiuso anche l’impianto Tesla di Buffalo dedicato alle energie rinnovabili, mentre proseguirà l’attività nell’impianto che produce le batterie Nevada e quella dell’impianto di Shanghai che fabbrica Model 3.

Credito foto di apertura: press kit Tesla