I sogni svaniti di Ginevra: Polestar Precept
La marca del gruppo Geely nata pensando alle zero emissioni non ha più bisogno di ricordare una (o molte) Volvo: sta diventando grande e ora cammina da sola
Il concept Precept, a chi lo avesse potuto vedere negli stand di Ginevra, avrebbe probabilmente confermato dal vivo la sensazione che si ha ora vedendo a distanza le immagini e video diffusi: che Polestar si stia svincolando da Volvo nel linguaggio di design, molto più di quanto sia avvenuto con il primo modello sportivo o con la Polestar 2.
Non che questo concept sportivo quattro porte voglia sottintendere di vergognarsi delle sue radici. Uno dei particolari più importanti nel delineare la cifra contemporaneo dello stile, la fanaleria, in questo modello non a caso si chiama Thor’s Hammer. Con tutta la simpatia per fumetti e film della Marvel, si guarda all’iconografia scandinava e non alla cultura pop americana.
Chiarito questo, il Polestar Precept è un dichiarazione di intenti da un lato e una opportunità dall’altro di mettere in vetrina linee pulite nella silhouette come negli interni, una nuova interfaccia digitale e un impegno verso la sostenibilità che si allarga ai materiali.
Il passo lungo tre metri e dieci centimetri come è la norma con le auto elettriche al 100% è dettato dagli ingombri del pacco batterie, sulla cui capacità però la casa non si sbottona, visto che di produzione per ora non si parla.
Una scelta che non è invece né scontata né automatica nei modelli elettrici è quella di prevedere un cofano lungo, ovviamente non in dispensabile visto che la taglia di un motore elettrico anche ad alte prestazioni è sensibilmente più ridotta di un motore termico ad alte prestazioni, specie se i cilindri sono otto o più.
Come altri modelli sportivi elettrici puri in arrivo, l’ultimo la Ford Mustang Mach E, sulla Polestar Precept troviamo un cofano allungato e scavato, visibilmente foggiato per portare l’aria dove l’efficienza è maggiore, una cura che deve contribuire ad allungare l’autonomia.
Il muso, che ha riminiscenze di sportive giapponesi ma a cui i LED danno una personalità propria, è alleggerito dalle prese d’aria e dallo splitter nella parte inferiore. Tutti i sensori dei sistemi di sicurezza ADAS sono discretamente integrati dove normalmente troveremmo la mascherina (che la casa chiama Polestar SmartZone), mentre gli specchietti sostituiti da camere digitali sottilissime vanno in sincronia coi fanali minimalisti.
Il minimalismo scandinavo ritorna anche negli interni, e qui specialmente guardando e riguardando la plancia non possiamo trattenerci dal commentare che nella Polestar Precept si vede il cockpit che avrebbe reso quasi perfetti gli interni di Tesla Model 3, che invece ha esagerato con la sua rincorsa al design-Ikea.
Nel caso dei progettisti Polestar è evidente il lavoro minuzioso mirato ad “asciugare” le linee. Non hanno potuto fare lo stesso con i display, per ovvie questioni di praticità. Così lo schermo centrale da 15 pollici e quello davanti al posto di guida da 12,5″ non passano inosservati, e tuttavia anche questi dettagli riescono a tenere il tempo dello spartito scelto dalla casa sino-svedese.
Scrivere degli schermi porta a scrivere dell’interfaccia, e Polestar sta correndo veloce per integrare l’Android Automotive OS. Si tratta del sistema operativo che Google sviluppa come se fosse una versione senza telefono di Android Auto.
Su un concept di questo genere negli stand di Ginevra avremmo probabilmente visto belle dimostrazioni di Google Assistant all’opera coi comandi vocali, riconoscendo più lingue e spiegandoci dove sia arrivato ad integrare le preferenze e le personalizzazioni.
Nella Polestar Precept, come accennato inizialmente, l’economia circolare è una realtà, più che un’intenzione. Il sedile è la reincarnazione di umili bottiglie di plastica, cuscini e poggiatesta riciclano vinile di sughero.
Anche i pannelli degli interni e degli schienali, che offrono un risparmio fino al 50% in peso e, sono sostenibilissimi, provengono da un fornitore che lavora con fibra di lino e balsa. I tappetini? Quelli sono realizzati in plastica, ma è ottenuta riciclando reti da pesca.