Ad aggiungere il sale alle batterie Faradion è il loro costo: solo $80/kWh
Un convegno sulla tecnologia degli ioni di sodio alla Lancaster University offre al fondatore della startup britannica Jerry Barker l’occasione per svelare dove sia arrivata Faradion nello sviluppo delle sue celle super-green
Nexgenna è uno dei più promettenti progetti supportati in Gran Bretagna dal Faraday battery challenge, un programma che spinge per lo sviluppo e la commercializzazione di una nuova generazione di batterie. Questo in particolare, guidato dall’università scozzese di St. Andrews e finanziato attraverso la Faraday Institution, è un programma che punta ad accelerare sulle batterie agli ioni di sodio.
Quasi contemporanee di quelle agli ioni di litio, sono state superate in diffusione e popolarità da queste ultime. Ma alcuni poli di ricerca e varie startup hanno continuato a lavorare sul sodio, attratte dalla grande disponibilità della materia prima, dai costi e dalla congenita sicurezza di questa tecnologia.
La settimana scorsa presso la Lancaster University, uno degli atenei partner del progetto, Nexgenna ha organizzato un convegno che è stata per ricercatori e startup l’occasione per fare il punto. Tra i vari interventi si è segnalato quello di Jerry Barker, il fondatore e chief technology officer della startup Faradion, che aveva novità interessanti da condividere.
Agli addetti ai lavori Barker ha infatti annunciato che la sua startup è ormai pronta a commercializzare celle pouch disponibili a meno di $80 al kWh. Si tratta di un prezzo inferiore a quello delle celle agli ioni di litio oggi vendute nelle varie configurazioni, che ora fanno fatica a valicare la soglia dei $100 al kWh (mentre a livello intero pacco-batteria la soglia è collocata nel 2024).
La competitività delle celle agli ioni di sodio rispetto alla tecnologia dominante è temperata dalla loro minore densità di energia, una situazione che nasce a monte: lo ione di sodio è più grande di quello di litio. Le celle sono quindi meno energetiche: la quantità di energia per unità di massa è più bassa, si perdono circa 0,3 volt di differenza di potenziale.
I valori di densità gravimetrica annunciati per la batteria saranno di 120/130 Wh/kg e quelli di densità volumetrica di 200/240 Wh/l. Si tratta di circa due terzi del valore raggiungibile in una batteria agli ioni di litio. Ma in questo caso occorre non scordare che si sta mettendo a confronto tecnologia da un lato matura e dall’altro allo stadio iniziale.
Le batterie definite super-green da Faradion non hanno nel solo costo la loro attrattiva. Come ha sottolineato Barker, le più recenti formulazioni dell’azienda britannica saranno senza nickel, senza rame, senza cobalto. A livello di materie prime, il termine super-green è quindi commensurato ad un impatto ambientale molto basso.
Negli anni a partire dalla sua fondazione che risale al 2011, la società di Sheffield ha depositato brevetti riguardanti catodi basati su sodio-nickel e sul manganese, concentrandosi fin dagli esordi su elettrodi privi del più raro cobalto.
Il sodio in sé è un materiale più stabile del litio, inoltre non necessita degli elettroliti organici (più facilmente infiammabili) che servono al litio. Fin dagli inizi Faradion si è concentrata su elettroliti inorganici non-acquosi, e dopo varie alternative recentemente ha valorizzato l’esafluorurofosfato di sodio (Na PF6).
Le batterie agli ioni sodio Faradion non usano anodi in grafite (o miste grafite-silicio): come materiale è stato scelto l’hard carbon. Il carbonio duro come materiale per l’elettrodo negativo permette di utilizzare alluminio come collettore di corrente.
Questo non solo rende questo componente più economico, ma la presenza di rame rende problematico scaricare completamente la batteria per il rischio di reazioni a bassissimo voltaggio.
Le batterie agli ioni di sodio invece si possono scaricare a 0 volt senza rischi inerenti, il che rende questo genere di batterie più pratico anche per i trasporti più problematici. Sodio e alluminio combinati non appaiono a prima vista solo super-green, ma anche super-safe.
Faradion con queste carte da giocare sembra cercare un ruolo di leader nel settore ancora ristretto delle startup che sviluppano e commercializzano batterie agli ioni di sodio.
La più avanzata nel cammino verso il mainstream appariva finora Tiamat: la startup di Amiens nata come spinoff dei consorzi di ricerca francesi CNRS e CEA si differenzia dagli inglesi nella tecnologia del catodo, avendo puntato sul titanato.
Come Tiamat, anche Faradion sta cercando di farsi strada nella produzione su larga scala. Finora per la minore densità energetica e la grande sicurezza le celle agli ioni di sodio venivano considerate interessanti per grandi impianti di accumulo, settore nel quale ha iniziato a trovare le prime applicazioni l’americana Natron Energy.
Ma l’azienda transalpina ha dimostrato il valore delle sue celle cilindriche anche su usi veicolari, con monopattini elettrici e scooter. Faradion a sua volta sembra credere nell’impiego nei mezzi di trasporto, certo anche grazie ai costi.
Sul proprio sito web sembra suggerire che la prima opportunità potrebbe essere per sistemi mild-hybrid: un prezzo industriale inferiore a quello della concorrenza agli ioni di litio potrebbe interessare grandi gruppi auto, per la possibilità di inserire tecnologie ibride sulle auto termiche a costi ulteriormente in calo.
Faradion, come Tiamat ed altre startup, hanno un altro vantaggio dalla loro nel proporre la loro tecnologia. Al contrario di quanto avviene per altre soluzioni di batterie che puntano sul magnesio o in futuro sul potassio le costosissime linee di produzione delle grandi Gigafactory hanno una elevata compatibilità con la produzione di celle al sodio.
Anche se una startup non dovesse riuscire a convincere un grande produttore che acquistare una licenza sia un affare, potrebbero utilizzarne le linee esistenti per far produrre le proprie celle là dove esiste capacità disponibile.