Cambia il piano industriale Navya ed è il declino per la produzione di shuttle autonomi
Calo di vendite e ricavi spingono la startup francese verso progetti di nicchia in cui sviluppare e far crescere software e sistemi a guida autonoma: si comincia dagli aeroporti
Lo scorso 25 luglio la startup francese specializzata nella mobilità autonoma Navya ha presentato i propri risultati semestrali e annunciato una svolta nel piano industriale. Anche per una delle punte di diamante europee del settore della guida autonoma sembra il momento di una sorta di traumatico redde rationem.
Dal forte impulso allo sviluppo e vendita di shuttle autonomi, sottoposti a progetti pilota in tutti i continenti (incluso un test a Roma che era parso suscitare se non l’interesse la curiosità della giunta capitolina) Navya sembra voler cambiare obiettivi, alla luce del fatto ormai acclarato che la produzione di navette (del costo di circa €300.000 l’una) non decolla, anzi.
Così cambia il piano industriale Navya che punterà a commercializzare il suo software e la sua architettura di sensori con nuovi partner senza tentare, come ha fatto finora, di seguire e curare l’intera catena del valore dei propri prodotti.
Per adesso la linea di produzione degli shuttle non sarà chiusa, ma sembra solo questione di tempo: fino a quando, come ha scritto l’azienda nella sua nota “l’integrazione delle tecnologie nelle piattaforme di terzi siano operative per i clienti”.
Il passo successivo per Navya sarà quindi nel corso del prossimo anno installare la tecnologia sviluppata per gli shuttle elettrici in veicoli di nuovi clienti. Quest’anno, per cominciare, i veicoli saranno quelli della società Charlatte Manutention, divisione di un grande gruppo industriale francese specializzata nei veicoli per il trasporto bagagli negli aeroporti.
Presentata nell’autunno del 2018, la collaborazione offrirà presto lo spunto per test da effettuare entro quest’anno per mettere alla prova il progetto dell’Autonom Tract AT135, prima di passare a collaudi più completi nella prima metà del 2020.
Si tratta di una sterzata che segue il siluramento a fine 2018 del fondatore della società Christophe Sapet e della sua sostituzione con Etienne Hermite a partire dalla scorsa primavera. Hermite, analogamente alla maggior parte dei manager delle startup della mobilità, ammette che l’implementazione su larga scala della mobilità autonoma non è vicina, e soprattutto è più lontana di quanto non apparisse al momento della quotazione in borsa (all’Euronext) di Navya.
Azienda che è stata preceduta in questa analisi ormai da molti: a iniziare dalla retromarcia di quell’Uber che un tempo era all’avanguardia dell’ottimismo sui sistemi di guida autonoma fino all’ultima in ordine di tempo, la divisione di General Motors per la guida autonoma Cruise che ha confermato mercoledì il rinvio delle scadenze dei propri progetti sul servizio di robotaxi.
Nel caso di Navya i problemi pratici avevano da tempo iniziato a tradursi in cifre che hanno influenzato a fondo i bilanci: nel primo semestre 2019 ha venduto 18 navette contro le 36 dei primi sei mesi del 2018. Così i ricavi della società si sono ridotti a €6,1 milioni contro i €9 del primo semestre del 2018.
La società lionese ritiene attualmente che, sull’arco di tempo dei prossimi due anni, il decollo della domanda per le navette autonome sia destinato a stagnare, almeno fino a quando non sarà possibile fare a meno di un supervisore a bordo.
Ma quest’eventualità appare ancora tutt’altro che immediata: solo pochi giorni fa a Vienna il servizio cittadino sperimentale di shuttle Navya è stato sospeso dopo un incidente con un pedone. La donna coinvolta sembra fosse distratta, dalle prime ricostruzioni. La bassa velocità di navette come quelle francesi contribuisce a contenere i rischi di esiti gravi.
Ma è in linea generale il criterio che sembrano aver seguito i proponenti delle navette autonome a bassa velocità a suscitare ormai perplessità. Da pochi giorni l’agenzia federale americana NTSB ha prodotto il suo rapporto su un altro incidente di uno shuttle Navya che era appena entrato in servizio a Las Vegas, anche in quel caso come negli altri siti in cui sono operativi su un percorso limitato, controllato via GPS e a bassa velocità.
La colpa è stata attribuita al conducente del camion che aveva urtato la navetta, ma anche con la ragione dalla propria appare sempre più chiaro che l’approccio alla guida autonoma di Navya ed alcuni concorrenti abbia dei vistosi limiti.
Per contenere entro limiti ragionevoli i costi, la filosofia progettuale sembra essere stata di fare ricorso ad un software dinamico non particolarmente evoluto affidandosi piuttosto al GPS come principale bussola, una soluzione percorribile senza difficoltà su percorsi che in qualche caso (come nel servizio di un concorrente della società lionese tra due stazioni ferroviarie parigine) era anche fisicamente separata dal resto del traffico.
Ma appena si tratta di interagire con il traffico l’approccio di Navya (e quello analogo di qualche altra startup) sembra aver usato i sensori laser e telecamere per evitare collisioni più che per cercare alternative. La risposta alle difficoltà e a problemi imprevisti, anche nel caso della collisione di Las Vegas sembrava essere immobilizzare la navetta in attesa che un supervisore in carne ed ossa sbrogliasse la matassa.
Decisamente un approccio troppo conservativo anche su percorsi limitati, a maggior ragione senza particolari speranze nel caos del traffico urbano o di certe autostrade. Ripartire da situazioni semplificate, come può essere il traffico più prevedibile di uno spazio di un aeroporto potrebbe essere un percorso utile per far crescere i sistemi Navya fino al giorno in cui saranno in grado di non bloccarsi davanti alle complessità.