Primi successi delle soluzioni alternative verdi per riciclare i metalli dei catodi delle batterie
In Texas un laboratorio della Rice University ottiene sorprendenti risultati grazie ai DES, solventi green ed economici: un’altra conferma che il riciclo bio-compatibile non è più un sogno
Le soluzioni per riciclare le batterie, specie quelle dei veicoli che nella prossima decade cominceranno ad esaurire i loro compiti veicolari e quelli successivi di second life per impianti di accumulo, guardano sempre più spesso non solo all’efficienza ma anche alla sostenibilità.
È quello che hanno da poco ottenuto a Houston alcuni ricercatori della Rice University. Nel laboratorio diretto dal Professor Pulickel Ajayan hanno usato sostanze compatibili con l’ambiente note come DES (deep eutectic solvent) per estrarre materia prima dai catodi di batterie agli ioni di litio.
I risultati, pubblicati sul numero di aprile di Nature Energy, hanno confermato che i solventi a eutettico basso, che hanno come origine prodotti facilmente reperibili come cloruro di colina e glicerolo, sono particolarmente validi nel separare gli ossidi di metallo dagli altri componenti dell’elettrodo.
I DES sono stati in grado di estrarre mediante leaching fino al 99% del cobalto (uno dei metalli più critici nell’intera supply chain delle batterie) contenuto nelle polveri su cui sono stati messi alla prova, e una quota inferiore direttamente dai catodi delle batterie usate, mentre il successo nell’estrazione degli ioni di litio si è avvicinato al 90% a temperature di 180°.
Il professore della Rice University che ha diretto la ricerca ha dichiarato nella nota: “Le batterie ricaricabili esauste, specialmente quelle agli ioni di litio, diventeranno col tempo una sfida ecologicamente più impattante, visto che aumenta significativamente la domanda che ne richiede l’uso nei veicoli elettrici e nell’elettronica di consumo”.
Finora i procedimenti più comunemente impiegati per riciclare le batterie sono pirometallurgia ed idrometallurgia. Ma la prima è notoriamente un processo energivoro, mentre l’idrometallurgia ha lo svantaggio di richiedere materiali chimici aggressivi oppure, anche nel caso di uso di alcuni solventi verdi, di necessitare di fasi di lavorazione ad alte temperature.
Il leaching, in italiano percolazione o liscivazione, è l’estrazione di un certo elemento da una matrice. Quello che si effettua da più tempo è il recupero mediante leaching chimico convenzionale: il materiale da riciclare viene messo in un acido molto forte, il che può creare problemi ambientali collaterali perché acidi chimici forti hanno delle criticità i cui processi vanno seguiti accuratamente in ogni fase del ciclo complessivo.
Esistono però alternative decisamente più verdi come il bio-leaching o appunto la strada seguita alla Rice. Eliana Quartarone è docente all’Università di Pavia e fa parte di un gruppo che insieme a colleghi di Milano Bicocca e Genova sta lavorando a un progetto di bio-leaching: una soluzione che impiega microfunghi e della quale AUTO21 avrà modo di occuparsi ancora.
“Come il bio-leaching al quale stiamo attualmente lavorando“, ha commentato la Professoressa Quartarone, “i DES sono una alternativa verde per il riciclo dei materiali delle batterie. Sono costituiti da due componenti e raggiungono dei punti di fusione che sono più bassi delle componenti singole: questo vuol dire sostanzialmente che sono liquidi a temperatura ambiente e possono essere usati come solventi“.
“Lo stesso punto a cui vogliamo arrivare coi nostri microfunghi è l’obiettivo di chi usa i DES: prendere il metallo mediante un acido. I solventi scelti dal gruppo diretto dal Professor Ajayan sono molto green, perché facilmente biodegradabili e non sono tossici. Il cloruro di colina è noto come additivo per i mangimi, specie per il pollame, si recupera da biomasse e rientra in un processo di economia circolare. Inoltre, come è anche il caso del glicerolo, si tratta di reagenti che costano pochissimo“.
L’attenzione verso l’impiego dei DES collegati al settore delle batterie risale a quattro, cinque anni fa. All’inizio, tuttavia, il loro impiego era studiato soprattutto come alternativa ai materiali oggi più comunemente utilizzati come elettroliti o ai liquidi ionici, coi quali la ricerca ha iniziato a cercare di inserire materiali più verdi nelle celle dei moduli delle batterie.
Ai solventi a eutettico basso si è guardato per la loro compatibilità ambientale, economicità e sicurezza. Ma il problema di questi sistemi è che sono molto “reattivi”: per questo motivo la colina, ma anche il glicerolo, non potrebbero essere utilizzati se l’anodo della batteria fosse litio metallo.
Anche il gruppo di Rice aveva utilizzato soluzioni eutettiche nel corso di ricerche su elettroliti. Ma il solvente aveva la tendenza a dissolvere gli ioni del nickel presente nei super-capacitori di nuova generazione in corso di studio. Così, quello che si è rivelato un problema nell’impiego come elettrolita, si è trasformato in un asset destinando la soluzione a dissolvere il metallo degli elettrodi delle batterie usate.
Questo fortunato caso di serendipity tecnico-scientifica porterà probabilmente a un passaggio relativamente rapido tra ricerca e impiego produttivo della scoperta sui DES come soluzione per contribuire al riciclo sostenibile delle batterie, il che sarà facilitato anche dalla economicità di processi e materiali necessari.
Il risultato sembra soprattutto utile a sottolineare quante opportunità ci siano ancora da scoprire per trasformare perfino una fase problematica, e a prima vista assai poco verde come il riciclo delle batterie, in un passaggio che può convivere con l’ambiente in modo appropriato.