AUTOMAZIONE

Una società di consulenza ha guardato dentro ai sistemi di guida autonoma

Le annuali pagelle di Navigant Research ai sistemi di guida autonoma sono una sorpresa: sul podio Waymo, GM Cruise e Ford/Argo AI, mentre Tesla ed Apple finiscono “dietro alla lavagna”

Nei giorni scorsi la società di consulenza Navigant Research ha pubblicato il suo annuale
Automated Driving Vehicles Leaderboard, una lente puntata sulle società che sviluppano soluzioni complete di guida autonoma ed intendono commercializzarle o al pubblico o via servizi di mobilità. Tra le società esaminate, venti, non è stato valutato chi sviluppa i soli sensori (ad esempio Velodyne) o chi fa integrazione per conto di case auto (ad esempio Denso).

Si tratta di un report a cui viene prestata molta attenzione anche per la fase iniziale di sviluppo e dispiegamento nel quale si trova la tecnologia della guida autonoma, un contesto per certi versi ancora pionieristico che peraltro ha aiutato l’ingresso di società che fino a pochi anni o mesi fa nulla avevano a che fare con trasporti e mobilità.

Ma non va scordato che anche aziende come Waymo, che ha festeggiato il decimo compleanno di attività nel settore, ancora non sono in grado di proporre servizi commerciali di robotaxi privi di supervisori a bordo, nemmeno in aree particolarmente favorevoli dal punto di vista meteorologico come l’Arizona, dove il sole brillante è la norma per la maggior parte dell’anno.

La ricerca guarda a quali società siano più preparate a commercializzare la tecnologia ed impiegarla nel mondo reale”, ha detto l’analista che ha diretto la stesura del report, Sam Abuelsamid, al quotidiano Detroit Free Press. “General Motors e Waymo sono quelle che hanno fatto più strada nello sviluppare la tecnologia ed allestire un modello di business per generare cash. In Ford non stanno cercando di arrivare primi sul mercato. Il loro scopo è avere il giusto tipo di business sviluppato specificamente per servizi automatizzati, non l’adattamento di un veicolo esistente”.

Sull’asse delle ascisse i voti dati dagli analisti alle società impegnate nella guida autonoma quanto a strategia, sulle ordinate l’esecuzione con la quale stanno procedendo i progetti (credito grafico: Navigant Research).

Erano otto le società considerate leader dall’Automated Driving Vehicles Leaderboard precedente: ora si sono ridotte a tre e sono state classificate in un pacchetto molto ravvicinato che ha attribuito punteggi in base a dieci parametri, che hanno esaminato dalla tecnologia all’affidabilità, dai partner che sono coinvolti nello sviluppo alla strategia di prodotto.

Waymo è stata collocata al primo posto da Navigant Research con uno score di 86,7 punti, davanti a GM Cruise (86,6) e Ford Autonomous Vehicles (84,2).  L’azienda che ha ereditato il progetto della Google-car è finita al primo posto perché ha avuto un impulso dai nuovi partner aggregatisi al progetto e per la rapida accumulazione di chilometri di test in condizioni reali che i suoi minivan Chrysler Pacifica modificati sono in grado di assicurare nelle aree prescelte.

La società di consulenza ha apprezzato la capacità di GM Cruise di adeguare la sua struttura manageriale a nuovi e difficili compiti e la bravura nell’attirare investimenti da partner giapponesi di alto livello come Honda e SoftBank, determinanti per far crescere un progetto di ampio respiro ma che senza fondi rischierebbe di arenarsi prima di generare abbastanza ricavi.

Di un partner generoso è in cerca anche Ford, che sta investendo centinaia di milioni nella zona di Corktown a Detroit per farne il cuore dell’attività sulla guida autonoma nata attorno alla startup Argo AI e sulla quale sta cercando di convincere il gruppo Volkswagen a ripetere anche nella guida autonoma un “voto di fiducia” già accreditato nel settore dei veicoli commerciali.

Se ora c’è un podio molto ristretto, la seconda fascia delle società impegnate nella guida autonoma è affollatissima: il gruppo dei contenders comprende anche quelle aziende uscite dall’élite nella classifica 2018, come Aptiv, Daimler-Bosch, Volkswagen, BMW-Intel-FCA e l’Alleanza franco-giapponese.

Per la prima volta nelle pagelle di Navigant Research ai sistemi di guida autonoma sono entrate tre startup della mobilità: May Mobility, Zoox e Voyage. È interessante notare che la prima e l’ultima del trio hanno in comune lo sviluppo di servizi di robotaxi a bassa velocità in aree strettamente delimitate e mappate.

In pratica ricercano dati e modelli sempre più accurati su aree molto ristrette, una scelta che è sostanzialmente opposta rispetto a quella di Waymo, GM Cruise e Argo AI, tutte da tempo attive in aree urbane d’America e apparentemente in cerca di nuove città in cui sperimentare.

Salta agli occhi la poca considerazione che l’Automated Driving Vehicles Leaderboard 2019 attribuisce agli sforzi di due “pesi massimi” della Silicon Valley come Tesla e Apple. Nel primo caso non hanno aiutato gli incidenti molto pubblicizzati nei quali era attivo l’Autopilot. Di questo sistema semi-autonomo attualmente di Livello SAE 2 c’è abbondante evidenza che la clientela abusi le funzionalità, mentre l’amministratore delegato Elon Musk da troppo tempo periodicamente promette sia alla vigilia del trasformarsi in un dispositivo a piena autonomia.

Navigant Research ha classificato Apple a fondo classifica apparentemente in sincrono con le voci di ridimensionamento del Progetto Titan della casa della mela: gli analisti sono tuttavia convinti che in particolare i chip Apple ad alta efficienza potrebbero trovare un mercato vasto nell’automotive, così come le risorse dell’azienda di Cupertino potrebbero farne un protagonista del settore se dovesse riaprirsi una finestra di opportunità.

Il report è stato pubblicato a distanza di poche ore da un sondaggio del gruppo americano AAA, attivo nelle assicurazioni e nei servizi agli automobilisti, che ha ribadito che negli Stati Uniti resta minoritario il pubblico con una propensione a salire e starsene con tranquillità a bordo di veicoli a guida autonoma.

In America continua a resistere lo scetticismo verso la guida autonoma, e anche gli specialisti non nascondono più gli ostacoli: una opportunità per imparare dai dati a posteriori c’è, ma agli albori

Dopo le vicende di cronaca del 2018, il 71% dei guidatori americani dichiara che avrebbe timore a stare a bordo di un veicolo pilotato dal computer e dai sensori. Il sondaggio AAA però ha anche confermato che un 53% si sentirebbe a suo agio se fosse trasportato a bordo di robotaxi a bassa velocità ed in aree delimitate, come potrebbero essere aeroporti o parchi tematici.

Un’opinione che conforterà quelle società come Voyage o May Mobility che sviluppano i sistemi proprio in aree ben delimitate, come fa la prima in villaggi riservati ai pensionati. Una scelta che è stata fatta per costruire gradualmente la fiducia dei passeggeri e allo stesso tempo per limitare le sorprese, i casi limite ai quali i computer di bordo possano trovarsi a dover rispondere.

Quello degli edge cases è in effetti un tema centrale in tutti i modelli di guida autonoma basati sul machine learning. In un interessante video girato durante una conferenza tenuta agli studenti del MIT, uno dei principali sviluppatori del progetto di Waymo, Dragomir Anguelov, spiegava quanto fondamentale sia nei casi più complessi sviluppare i modelli facendo in modo che apprendano da dimostrazioni nel mondo reale.

Se i fan di Tesla probabilmente non prenderanno troppo alla lettera le pagelle di Navigant Research sulla guida autonoma sarà anche perché sanno che la casa di Palo Alto può attivare a distanza i sistemi di raccolta dati: i sensori lavorano raccogliendo dati ed immagini reali nel cosiddetto shadow mode.

Ma i dati raccolti, che finiscano a Tesla o no fa poca differenza, sono esposti a quella che Anguelov chiama decreasing utility of data. Un ostacolo già noto ai settori che per primi hanno fatto leva sugli algoritmi per creare classificatori, come nel riconoscimento di immagini. Dopo due milioni di foto di gattini o di cani, un cucciolo in più dà un contributo marginale al miglioramento del sistema anche se si tratta di una foto reale e non virtuale.

Nell’introduzione al report in effetti la stessa Navigant Research non ha mancato di scrivere che ingegneri e sviluppatori stanno comprendendo quanti anni siano ancora distanti dal poter garantire la stabilità della loro tecnologia.

Francesca Favarò, che lavora alla San José State University ed al Mineta Transportation Institute, centro di eccellenza californiano che si occupa di sicurezza dei trasporti e di mobilità, sulla difficoltà dei sistemi di guida autonoma di scalare la montagna dei casi limite è molto chiara: “Se si parla di distribuzione probabilistica, si tratta di casi che per definizione sarà difficile andare a prendere: sono casi di per sé rari che tenderanno a rimanere tali. Si tratta di una serie di eventi per far fronte ai quali ci sarà ancora da mettere a punto i sistemi di guida autonoma per i prossimi dieci o quindici anni“.

La rincorsa a limare le spigolosità dei casi limite che mettono alle corde anche i sistemi più sviluppati come quelli di Waymo, GM o Ford, però non necessariamente dovrà passare solo dalla sperimentazione sulle strade aperte al pubblico, affrontando rischi non del tutto quantificabili: “quello che si sta iniziando a cercare di capire è se si possa iniziare a fare leveraging di dati nel mondo reale che non abbiano niente a che fare col mondo della guida autonoma”.

Come, lo spiega la stessa Professoressa: “per esempio, se si riuscisse ad approfittare delle possibilità che il machine learning ora fornisce e della enorme disponibilità globale di dati che il mondo digitale offre potremmo fare leveraging sulle denunce dei danni assicurativi. Se su tutti i sinistri, dal veicolo convenzionale che ha un problema nel parcheggio in su, si riuscisse ad organizzare una standardizzazione, una formattazione dei dati coi quali vengono mandate le denunce troveremmo quegli scenari che potrebbero essere di interesse, specialmente quelli che statisticamente accadono molto poco”.

“Proprio questi potrebbero essere interessanti perché consentirebbero di fare un training dei veicoli autonomi legando gli algoritmi al mondo reale. Siamo ancora agli inizi per riuscirci ma se in questo caso, non solo delle assicurazioni anche dai verbali delle polizie stradali, potessimo risolvere il problema della formattazione potremmo avere a disposizione una quantità di dati reali imponente anche per i casi rari“.

Forse le opportunità prospettate dalla docente italiana della Silicon Valley, anche se si occupa professionalmente di sicurezza dei sistemi autonomi, da sole non basteranno a rassicurare chi preferisce aspettare ancora a salire sui robotaxi di Waymo o GM Cruise. Ci ricorda però che alternativa e soluzioni esistono; e non nascondere difficoltà ed ostacoli quando ci sono di mezzo sicurezza e trasporti è più convincente che trasmettere messaggi basati sull’eccesso di hype.


Credito foto di apertura: ufficio stampa General Motors