MOBILITA

Da MIT a Bridj ce l’hanno tutti coi taxi gialli di Manhattan…

Si potrebbe teoricamente ridurre il traffico a NYC del 75% ma il car pooling convince poco, piacerà l’autobus on demand?

Uno dei concetti più frequentemente ripetuti per convincere dell’efficacia della sharing economy è sempre stato quello della sua capacità di eliminare il problema della sotto-utilizzazione. Le auto private in particolare stanno ferme per la maggior parte del tempo, occupando spazio nei parcheggi. Ma ormai la caccia all’inefficienza ha nel mirino anche auto che sono in movimento molto più a lungo: come i taxi gialli di New York City, ad esempio.

Secondo uno studio effettuato da ricercatori del Computer Science and Artificial Intelligence Laboratory (CSAIL) che fa capo all’MIT, pubblicato recentemente nei Proceedings of the National Academy of Sciences, i servizi di ride sharing ad alta capacità potrebbero sostituire il 98% dei taxi in attività a Manhattan senza peggiorare l’esperienza dei clienti, anzi, secondo gli autori riducendo al minimo l’impatto sugli utilizzatori.

Gli esperti dell’MIT sostengono che con 3.000 veicoli si potrebbero sostituire i 13.000 attuali, la maggior parte dei quali effettua corse per un solo passeggero. Ma secondo lo studio nel 2014, l’anno su cui sono stati effettuate le ricerche, quasi l’80% delle corse effettuate a Manhattan avrebbero potuto essere condivise da due passeggeri.

Gli autori hanno creato un programma al computer per massimizzare l’efficienza dei trasporti in particolare minimizzando il tempo di attesa per effettuare i viaggi, usando come parametri corse in taxi con un singolo passeggero, per due, quattro e dieci. Secondo il programma, occorrerebbero solo 2.000 minibus da dieci posti oppure 3.000 vetture da quattro posti per smaltire il 98% delle richieste di corse di Manhattan. Secondo il programma l’attesa media si attesterebbe a poco meno di tre minuti e a poco più di tre il ritardo medio delle corse.

Quanto esposto dagli autori dello studio (tra cui l’italiano Emilio Frazzoli) sembra andare nella stessa direzione su cui si sta incamminando il numero uno del ride sharing Uber. Non è un mistero che le corse ad alta capacità sono una soluzione su cui la startup sta spingendo per contenere i costi e massimizzare gli utili.

Però sembra che questa strada non piaccia molto ai clienti, nonostante incentivi e sconti su questo tipo di passaggi. In effetti tra i motivi del rapido successo di Uber al suo debutto c’erano proprio rapidità e comodità nell’ottenere un taxi.

Se trasformare i taxi di Uber in minibus finora non ha suscitato entusiasmi, una operazione diversa, quella di creare degli autobus on demand, sta muovendo i primi passi con un certo successo. Una startup di Boston, Bridj, ha iniziato ad offrire corse su minibus con un massimo di quattordici posti in varie città americane. Dalla scorsa primavera offre servizi di trasporto pubblico su misura, anche mettendo al volante autisti delle aziende di trasporto locali.

A differenza dei taxi multi-passeggeri auspicati dalla ricerca dell’MIT, che prevedono per forza di cose più fermate, Bridj punta invece a massimizzare la rapidità concentrandosi su alcune destinazioni maggiori: ad esempio ospedali, università, stazioni o aeroporti. Le richieste di chi aderisce al servizio (che passano per l’inevitabile app) sono elaborate tracciando percorsi che non necessariamente sono gli stessi giorno dopo giorno.

Così, in base alle richieste, il luogo di raccolta dei passeggeri per la partenza può variare anche di qualche isolato. In compenso i clienti pagano cifre molto ragionevoli: a Kansas City sono al livello dei normali autobus cittadini.


Credito foto di apertura: Jason Lawrence/Boston via Wikimedia Commons